Una riflessione a margine della mostra di Paolo Monti (al Carbone fino al 20/10), che negli anni ’70 del secolo scorso fotografò una Ferrara senz’auto
di Alessandro Accorsi
È visitabile fino al 20 ottobre alla Galleria del Carbone (via del Carbone, 18, Ferrara) una mostra per ricordare la figura del fotografo Paolo Monti, in particolare della sua serie di oltre 3mila scatti effettuati tra gli anni ’60 e il 1982, anno della sua morte, che immortalano il centro storico di Ferrara. In mostra, ovviamente, non è esposta l’intera produzione ferrarese del fotografo di Novara, ma è stata selezionata una ristretta serie di immagini particolarmente significative.
Il nucleo più consistente proviene dal saggio fotografico del 1974, che ritrae una Ferrara spopolata (le strade furono anche appositamente sgomberate dalle auto), decadente, forse addirittura decrepita, data la pietosa condizione dei centri storici italiani negli anni ’70 del ‘900; condizione che permane tuttora in alcune città ma che, per fortuna, non riguarda più il capoluogo Estense, oggetto di una colossale opera di riqualificazione che è durata dagli anni ’70 ai ’90 del secolo scorso, e che gli ha permesso nel 1995 di diventare Patrimonio dell’Umanità UNESCO.
La mostra su Paolo Monti a Ferrara è quindi occasione per riflettere sulla città e sul ruolo dei centri storici che, sebbene necessitino di tutela, sono organismi in movimento, popolati da persone e sedi commerciali che contribuiscono a un inevitabile processo di evoluzione e riorganizzazione continua al pari delle altre zone più periferiche. Questa bipolarità tra centro storico e quartieri moderni non è funzionale, e rischia di rendere le zone antiche o un cumulo di edifici abbandonati (città che soffrono di questo male, di cui ha sofferto anche Ferrara, possono oggi considerarsi Agrigento e Cosenza), o un oggetto di selvaggia e sconsiderata musealizzazione, un mettere le aree centrali all’ingrasso e al servizio esclusivo dei turisti (si vedano le situazioni di Venezia e Firenze). In entrambi i casi la conseguenza è la stessa: lo spopolamento e la perdita di identità.
Si abbia modo di riflettere anche sul contesto nel quale le fotografie di Paolo Monti furono realizzate: se da un lato i centri storici delle città italiane languivano, dall’altro era la grande Storia a soffrirne, con lo spettro della Guerra Fredda e la temutissima minaccia atomica. Decadenza, possibili conflitti e legislazione un po’ troppo permissiva verso la speculazione edilizia rischiavano di non far arrivare i centri storici italiani alla fine del secolo. Si può trovare in questo il senso della Fotografia di Paolo Monti: una testimonianza di quello che fu, e che, almeno a Ferrara, fortunatamente è ancora.
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 18 ottobre 2024
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