Buttino, guida e uno degli ideatori del progetto di Confartigianato, ci racconta storie e aneddoti di un tempo lontano che ancora ci insegna molto. Il prossimo percorso guidato è in programma l’11 maggio nei meandri del “Borgo di Sopra”
di Francesco Buttino
“Storie di artigiani e mercanti nella Ferrara antica”: ciò che la Confartigianato di Ferrara vuole portare dal vivo lungo le strade, i vicoli e le piazze cittadine in questi mesi di aprile e maggio è molto più di una semplice proposta di intrattenimento culturale. È un vero e proprio percorso di valorizzazione e riscoperta di un patrimonio consolidato in oltre dieci secoli di vita cittadina, un’eredità che gli artigiani e i commercianti dei nostri tempi, con le rispettive rappresentanze, possono e dovrebbero rivendicare come le proprie irrinunciabili radici.
Tante storie, spesso sconosciute o dimenticate, che rappresentano una storia a pieno titolo nella storia cittadina con la “S” maiuscola. Ci sono – è vero – gli Azzo VII, i Niccolò III, i Borso, gli Ercole e gli Alfonso, così come il cardinale Aldobrandini e i suoi successori fino all’avvento dei sanculotti francesi (ed il relativo strascico di malversazioni per la verità poco citate nei libri scolastici), ma sullo sfondo dei grandi eventi firmati da questi celebri personaggi, si snoda un intreccio narrativo molto più discreto e silenzioso e che pur tuttavia ha contribuito in maniera determinate a plasmare la città nella sua identità comunitaria e urbanistica.
Storie lontane, eppure così vicine.
Come quella del monumento per antonomasia di Ferrara, quel “Castelvecchio” di S. Michele nato a fine Trecento come conseguenza di una violenta rivolta fiscale dei ceti produttivi e con una impronta di fondazione ben lungi da quell’idea di elegante e fastosissima residenza di corte rinascimentale che sarebbe divenuta la cifra stilistica della struttura nel Cinquecento.
Storie di “grandi eventi” – capaci di suscitare polemiche allora come oggi nell’opinione pubblica cittadina – come i sontuosi festeggiamenti “imposti” nel marzo 1391 dal marchese Alberto V alle Arti cittadine per celebrare il suo ritorno trionfale dal pellegrinaggio romano. Quel viaggio che vide il signore di Ferrara tornare a casa, fra le altre cose, con la celebre bolla “In supreme dignitatis”, con cui Bonifacio IX concedeva alla città estense l’apertura di uno “Studium generale” – oggi diremmo Università – con privilegi pari a quelli di Bologna e Parigi. O come il Concilio di Ferrara del 1438-39, parentesi di quel più ampio evento passato alla storia come Concilio di Basilea-Ferrara-Firenze, quando la nostra città si trovò davvero al centro di un evento di portata mondiale, le cui implicazioni socio-politiche furono talmente dirompenti che ancora oggi stentiamo a comprenderne appieno la portata. In quell’occasione, le maestranze artigiane ferraresi furono catapultate in un turbine di commesse senza precedenti. Le nobilissime delegazioni provenienti da ogni parte del mondo conosciuto dell’epoca – prima fra tutte, la corte imperiale di Costantinopoli – reclamavano infatti dimore altrettanto degne, e chi meglio dei marangoni (falegnami) dei muratori e decoratori ferraresi poteva raccogliere quella sfida?
Ancora, storie di ordinaria vita d’impresa e di ordinaria conflittualità fra categorie economiche. Nulla di veramente nuovo sotto il sole. Come l’eterno conflitto fra ricchi “merciai” e “drappieri” setaioli e lanieri da una parte e più umili “strazzaroli” dall’altra per accuse incrociate di concorrenza sleale. O fra “callegari” (calzolai) e “pelacani” (conciatori di pelli) per la qualità delle forniture. O ancora fra “mastellari” (fabbricanti di botti e tini) e “vasellari” (vasai e produttori di stoviglie), vertenza risolta con contorni comici nel 1630, quando il Tribunale dei Savi, con sentenza inappellabile, ordinò la fusione delle due Arti per mettere fine una volta per tutte ad una eterna litispendenza che aveva ormai paralizzato gli uffici giudiziari. E ancora, le rivendicazioni “sindacali” degli Orefici che, dopo un secolo di attesa, nel 1476 videro finalmente riconosciuta la propria indipendenza dalla più “rozza” Arte dei Fabbri.
Storie di straordinaria lungimiranza, come quella dell’Arte dei Sarti che a inizio ‘300 inseriva nei propri statuti misure che sembrerebbero scritte oggi: contratti di lavoro siglati presso il notaio a tutela della regolarità del mercato del lavoro, radiazione dall’Arte per chi si serviva di lavoro nero, apprendistato come cardine della formazione professionale, strumenti di agevolazione per il passaggio generazionale in azienda, black-list condivisa dei cattivi pagatori, “welfare” di sostegno alle vedove e ai figli dei colleghi di corporazione defunti.
Storie di buon governo e buon esercizio dell’arte politica, come quella del duca Borso che negli anni ’70 del Quattrocento introduce forme di incentivo a fondo perduto – un po’ come i moderni bandi di contributi pubblici – per favorire l’insediamento in città di produzioni strategiche come la fabbricazione di armi (i toponimi di via Armari e via Spadari e gli affreschi del mese di Settembre di Palazzo Schifanoja ce lo ricordano) o la lavorazione della seta.
Storie, da ultimo, di civiltà cristiana – fondamento di ciò che ancora oggi, nonostante tutto, ci ostiniamo a chiamare “Occidente” – con tutto ciò che questo rappresenta e che può essere riassunto in un solo principio basilare: il riconoscimento della dignità incommensurabile della persona umana come cardine della societas in ogni suo aspetto, civile, politico, giuridico, economico e sociale.
Tutte queste storie saranno rese accessibili al pubblico nella giornata di sabato 11 maggio, a partire dalle ore 15.00, nella cornice di straordinario fascino offerta dalle vie del centro storico. La prima giornata si è svolta lo scorso sabato 13 aprile, quando il percorso ha attraversato il cuore pulsante della città, dal Castello Estense fino alla Basilica di S. Maria in Vado, con immancabile passaggio per la Cattedrale e la sua piazza. Lungo il percorso, la presenza di figuranti e musici del Rione S. Maria in Vado ha aiutato i visitatori a calarsi ancora più profondamente nell’atmosfera del racconto. Il secondo appuntamento, quello dell’11 maggio, si perderà invece nei meandri del cosiddetto “Borgo di Sopra”, partendo dalla chiesa di S. Maria Nuova e S. Biagio per arrivare al chiostro della chiesa di S. Paolo. Nel mezzo, un quartiere spesso poco considerato dagli stessi ferraresi, ed eppure ricchissimo di storia e di angoli particolarmente suggestivi, come piazzetta S. Niccolò, il dedalo di stradine che orbitano su via Capo delle Volte o le piazzette S. Michele e Bartolucci. In questo secondo itinerario, saranno gli stessi artigiani ad interpretare il ruolo di “guest star”, intrattenendo i visitatori con racconti della propria arte. L’iniziativa è realizzata con il contributo del Comune di Ferrara e con il patrocinio della Camera di Commercio di Ferrara-Ravenna e dell’Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio.
Pubblicato sulla “Voce” del 3 maggio 2024
Abbònati qui!