Nel XV secolo vi dimorò Benedetto Dei, “spia” dei Medici. Una storia di trame e scongiuri
di Micaela Torboli
L’antica chiesa e il monastero di San Bartolomeo – ma San Bartul o San Bertul/San Bartolo per i ferraresi – hanno una storia tormentata, che parte dal IX secolo, nella zona di Aguscello. Innumerevoli modifiche nel tempo hanno toccato questo nucleo suburbano, che vide splendori e miserie e venne sconsacrato nel 1796. È di proprietà dell’Ausl di Ferrara che vi ospita una residenza psichiatrica, esistente fin dalla seconda metà dell’Ottocento, quando era detta “Manicomio di Ferrara”. Il convento rientra nella storia dei benedettini e dei cistercensi: quando passò a Commenda ebbe quali abati personalità del calibro di Meliaduse d’Este e del Vescovo di Ravenna, Benedetto Accolti.
Il complesso, che conserva all’esterno della ex chiesa linee di pregevole qualità architettonica, vantava splendide opere d’arte, come gli affreschi del Maestro di San Bartolo (frescante con bottega di pittori attivi nella seconda metà del sec. XIII), strappati dalle pareti e patrimonio della Pinacoteca Nazionale di Palazzo dei Diamanti, ma anche dipinti di Garofalo e Mazzolino. Il convento doveva poter offrire alloggi temporanei a persone in vista che si trovavano a Ferrara, ma non volevano essere troppo notate e sceglievano questo sito defilato. Ad esempio vi soggiornò l’esuberante Benedetto Dei (1418-1492), cronista fiorentino che fu impegnato nel pubblico in patria, ma anche instancabile viaggiatore (visse a Costantinopoli, visitò Tunisi e Timbuctù), nonché diplomatico e “informatore politico” dei Medici, insomma una spia. I suoi scritti testimoniano come a Ferrara si tenessero d’occhio le mosse di Firenze, anche perché gli Estensi avevano accolto da tempo in città fuoriusciti fiorentini di peso, come gli Strozzi, i Neroni, i Ridolfi, che avrebbero beneficiato di una caduta dei Medici, non improbabile date le condizioni di salute di Lorenzo il Magnifico, vertice del potere della Repubblica di Firenze, ormai prossimo alla morte. I Medici soffrivano di gotta di padre in figlio, ma, esaminata la maschera funebre di Lorenzo, si crede fosse affetto anche da acromegalia, con crescita anomala delle ossa. Le cure somministrate all’ancor giovane paziente (era nato nel 1449) peggiorarono le cose: è noto che gli venne ordinata una tremenda pozione a base di perle triturate.
Nel marzo 1492 Lorenzo ordinò celebrazioni di fasto inaudito per il figlio sedicenne Giovanni, eletto cardinale: sarà papa Leone X, nel 1512. Debolissimo, Lorenzo non vi poteva partecipare, ma Dei scrisse che «rimase alle finestre chon gran feste mostrandosi al popolo che non era mortto chome e’ bologniesi e feraresi e milanesi dicievano e aveano detto ch’egli era. Ma sso bene che avanti che muoia e ch’avera la cicierbita di testa a più d’uno che arebbe voluto, e zara a cchi toccha e ttocherà vivendo questo e chredete a Benedetto Dei fiorentino chome al sachro vangielo per lo sogno o fatto in Sam Bartolo di Ferara detto mese e anno» (cfr. Ilaria Ciseri, Il «trionfo dello alifante»: immagini inedite delle feste per Giovanni de’ Medici cardinale, «Annali di storia di Firenze», IX, 2014, pp. 111-122). La prosa colorita di Dei, oltre alla premonizione onirica avvenuta a San Bartolo, contiene modi di dire del tempo. Mal di testa per il cenno alla cicerbita, un’erba di campo: si pensava che «la Cicerbita messa sotto la testa senza saputa dell’infermo dicono, che scaccia la febre» secondo il botanico Castore Durante (Herbario novo, princeps 1585; ed. cons., In Venetia, Appresso li Sessa, 1617, p.441). Quanto alla frase “zara a chi tocca” si tratta di un riferimento ad un gioco d’azzardo molto popolare (cfr. Micaela Torboli, La Granata Svampante di Alfonso I d’Este e gioco d’azzardo. Origini, varianti e successo di un simbolo estense, in corso di stampa sulla rivista «Schifanoia»).
Lorenzo spirò l’8 aprile 1492. Quella di Ferrara fu l’ultima corte frequentata da Dei, appunto nel 1492, poi tornò a Firenze per stare accanto al Magnifico e vi morirà a sua volta di lì a poco, il 28 agosto di quell’anno.
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 22 novembre 2024
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