di Micaela Torboli
È finito il conto alla rovescia per la nuova mostra di Palazzo dei Diamanti, Il Cinquecento a Ferrara. Mazzolino, Ortolano, Garofalo, Dosso. Mentre Garofalo e Dosso sono nomi aurei della pittura del Cinquecento, nelle sale si evidenzia in specie il ruolo finora in ombra di due co-protagonisti della Ferrara del tempo sicuramente poco noti, ovvero Ludovico Mazzolino e Giovanni Battista Benvenuti, detto l’Ortolano.
L’esposizione propone anche pittori legati per gusto a Ferrara, ma non di essa nativi o sudditi estensi, sfuggenti dal punto di vista dei documenti e, anche per molti esperti, rimasti quasi solo semplici nomi. Come il misterioso Antonio Pirri, del quale si vede in mostra la Presentazione di Gesù al tempio (talvolta pensato come Circoncisione, olio su tavola, cm. 69×53,5, 1510-11 ca., San Martino in Soverzano di Minerbio, Collezione Michelangelo Poletti) a lui attribuita. Le opere certe di Pirri si contano sulle dita di una mano. L’artista è documentato solo tra 1509 e 1511, quando un «magister Pirrus Antonius de Manfreda de Bononia pictor» venne chiamato a fornire la perizia di un dipinto del bolognese Antonio Rimpatta (o meglio Ripanda, dato che si sa che era fratello del pittore e antiquario Jacopo Ripanda, cfr. la voce sul Dizionario Biografico degli Italiani, 87, 2016, di Vincenzo Farinella) eseguito per la Basilica napoletana di San Pietro ad Aram, una Madonna con il Bambino in trono e santi (ora Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte) che ha non poche vicinanze con la mano di Pirri. Entrambi i maestri, sempre in giro per l’Italia, erano allora attivi a Napoli coniugando lo stile emiliano-romagnolo con quello all’antica, umbro e romano, in una remota consonanza con Raffaello giovane. La “pelle” smagliante della Presentazione di Pirri scompare in fotografia. Non si crede ai propri occhi ammirandola da vicino. Una luminosa satinatura dorata, incrostata di allusioni a gemme e marmi rari, abbonda nel dipinto a far risaltare splendide “grottesche” policrome, ornamenti tipici della Roma antica che si andavano ritrovando allora nel sottosuolo della città imperiale scavando le rovine, ormai simili a grotte sepolte dal tempo. La moda delle grottesche furoreggiò per tutto il Cinquecento. Pirri mostra pilastri ed archi del tempio in vertiginosa prospettiva, decorati da bucrani, amorini, animali fantastici, tritoni, fregi elegantissimi. La calca che assiste alla cerimonia deriva dritta dritta da Mazzolino.
Se Pirri si formò tra Ferrara, Ravenna e Bologna, e data l’impronta stilistica non se ne discute, siamo incerti che la famiglia Pirri non fosse originaria di altre zone: Pirri è un cognome diffuso nel sud e in Sardegna, non al nord. Ma l’ipotesi più sensata è altra, cioè che dovremmo parlare non di Antonio Pirri ma di Pirro Antonio de Manfredi, o di Pirro Antoni, infatti Pirro poteva ben essere nome di battesimo e non cognome, perché di solito nei documenti si usava prima il nome e poi il cognome, raramente il contrario. Comunque “Pirri” torna a galla solo nell’Ottocento, in modo vago ed approssimativo. Poco è cambiato da allora. La Presentazione si riconobbe come un possibile Pirri solo nel 1961, quando lo studioso Antonio Martini la rintracciò tra le segnalazioni di quadri fatta anni prima da Corrado Ricci, dubbioso se attribuirla ad artisti romagnoli, magari i fratelli Zaganelli da Cotignola, Francesco e Bernardino (morto nel 1510 ca.). La figura defilata di Pirri non sfuggiva a studiosi come Longhi, Bargellesi, Gnudi, Zeri e Tumidei che, oltre agli Zaganelli, pensarono per lui anche a stimoli evidenti dal ferrarese Mazzolino e dal bolognese Amico Aspertini (cfr. Andrea Ugolini, Considerazioni su Antonio Pirri con cenni sulla scuola di Cotignola, “Pictrix” pp. 8-9, rel. 2.0.1,2017, sul sito academia.edu). La tavola giunse al mercato antiquario, pare da Palazzo Mattei Caetani di Roma, nel 2020, quando passò in asta da Pandolfini a Firenze con una stima modesta, e ora l’attuale proprietà l’ha concessa per la mostra ferrarese.
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 18 ottobre 2024
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