Edicole, feste popolari, ex voto e molto altro: tutte le forme della devozione

di Paolo Fregatti

Una prima evidenza del tema della religiosità popolare compare nel Concilio Vaticano II (cap. I, n. 13, 1965) Liturgia e pii esercizi. Con S. Paolo VI nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (cap. IV, n. 48, 1975) è scritto: «Per lungo tempo considerate meno pure, o disprezzate, queste espressioni formano oggi un po’ dappertutto l’oggetto di una riscoperta…La religiosità popolare ha certamente i suoi limiti. È frequentemente aperta alla penetrazione di molte forme di deformazione della religione, anzi di superstizione…Può anche portare alla formazione di sette… ma se è ben orientata, è ricca di valori». Un inquadramento sistematico lo abbiamo poi con S. Giovanni Paolo II ne Direttorio su pietà popolare e liturgia, 2002. Nel documento di Aparecida (V Conferenza dell’Episcopato latino-americano e Caraibi, 2007) Benedetto XVI evidenzia quindi come la «spiritualità popolare» sia incarnata nella cultura dei semplici, è un modo legittimo di vivere la fede ed essere missionari. Non è vuota di contenuti, bensì li esprime più mediante la via simbolica che con l’uso della ragione. «Il camminare insieme verso i santuari ed il partecipare ad altre manifestazioni della pietà popolare, portando con sé anche i figli… è in se stesso un atto di evangelizzazione». Infine, papa Francesco in Evangelii gaudium (n. 122-126 , 2013) scrive: «La fede ha necessità di simboli, non può essere limitata solo ad un esercizio intellettuale».

Non è dunque semplice proporre una definizione esaustiva del concetto di religiosità popolare; l’aggettivo infatti potrebbe indurre una connotazione semplicistica: religiosità delle masse, propria di persone con ridotto livello culturale e scarsa o nulla conoscenza teologica, in antitesi ad una religiosità di élite. A questo proposito ci viene in aiuto il forte incitamento di S. Giovanni Paolo II (Insegnamenti  di G. P. II, V, 3 p.1320, 1982) ad evitare esclusioni, non aut aut ma et et, raggiungendo un giusto equilibrio. Egli stesso se ne è fatto interprete  accogliendo sempre con  gioia le manifestazioni popolari nei tanti viaggi apostolici.

Possiamo vedere la pietà popolare sotto due forme espressive: la prima, quella della devozione collettiva: immagini in edicole, oratori, su capitelli o pilastrini extraurbani (cosiddette maestà), di tradizione molto antica, posti a tutela di strade o crocicchi; un bell’esempio lo abbiamo al Santuario del Poggetto dove, se pur in parte malandati, i capitelli ospitano 15 Misteri del Rosario; immagini prevalentemente mariane in nicchie o altarini cittadini, a cura quasi esclusivamente femminile davanti alle quali, nel mese di maggio, recitare il Rosario o semplicemente a scopo protettivo;  sagre o feste patronali, come ad es. i Ceri di Gubbio, la rievocazione della Passione a Sordevolo (BI), ma ogni paese o quartiere cittadino ne possiede una;  pellegrinaggi ai Santuari, come ad es. Fatima, Medjugorje ecc.o Lourdes dove alla finalità di culto si aggiunge quella terapeutica;  devozione ai Santi attraverso le reliquie (es. S. Antonio a Padova o S. Gennaro a Napoli); Confraternite con finalità caritatevoli o di culto (ve ne sono in Italia circa 6mila di cui la metà riconosciute dall’Autorità religiosa); devozione ai defunti, in semplici cimiteri o in Certose monumentali; cappelle votive dedicate ad una disciplina sportiva, dove atleti e  tifosi collocano capi d’abbigliamento o trofei (es. Madonna del Ponte a Porretta Terme dedicata ai cestisti, con maglie e palloni).

La seconda forma è quella della devozione privata: ramo d’ulivo benedetto affisso su un’immagine sacra (nel domicilio) o apposto su un paletto cruciforme messo a protezione dei campi; acquasantiere domestiche (culto dell’acqua lustrale con finalità protettive o terapeutiche); ex voto-per grazia ricevuta (di cui abbiamo innumerevoli esempi conservati in cappelle, sacrestie, monasteri) raggruppabili in  tre tipologie: figurativi (fotografici, dipinti, sotto forma di oggetto o modellino), anatomici e “cuore raggiante”, eseguiti in modo semplice e con l’uso di materiali poveri o come vere opere d’arte preziose. Queste ultime due forme sono oggi in declino forse a favore di una “religiosità” domestica fatta di «oggetti ordinari che invadono la nostra vita quotidiana…e laddove sono presenti oggetti dal significato esplicitamente religioso, la sacralità è dissimulata sotto l’aspetto del valore artistico» (Fabio Dei, Lares 2014-3, 11/2015). Purtroppo ancora oggi anche nelle “evolute” culture occidentali, spesso si mescola magia e devozione (Ricerche di Roberto Roda et alii – Quaderni del Centro Etnografico ferrarese, 1981-1984).

Oltre che nei luoghi citati, immagini e materiali propri della religiosità popolare sono spesso conservati in tanti piccoli musei locali, mentre i grandi Musei Diocesani conservano opere pregevolissime dal punto di vista artistico, ma con finalità (es. Opera del Duomo di Firenze, Milano) o tipologie (corredi liturgici) non attinenti.

Bibliografia essenziale

* Don Francesco Forini, Effigi di Fede nella Diocesi di Ferrara-Comacchio,  Ediz. Cartografica, 2011.

* Daniela Fratti, Per le vie di Ferrara, Ediz. Faust, 2019.

* Mons. Stanislaw Rylko, La religiosità popolare e l’evangelizzazione, Siviglia, 28-31/10/1999.

 

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 4 ottobre 2024

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