18 novembre 2019
di Francesca Tani
Creare “nuove relazioni di affinità o di vicinato” e praticare “scelte di vita che siano in contrasto con l’ideologia del mercato”. Prendendo coscienza del fatto “che il nostro modo di intendere, vivere ed immaginare i rapporti tra uomo e donna non sempre proviene dal Vangelo”
Oggi, più che mai, la dimensione locale è forse l’unica da cui ricominciare a costruire un percorso di cambiamento, che valorizzi la presenza femminile.
Probabilmente le strategie possono iniziare solo dal territorio, una dimensione che ricomprende e riaggrega, in un insieme collettivo, esperienze divise e frammentate. Ad esempio, ponendo al centro del nostro interesse la qualità della vita in questo territorio, possiamo già fare il primo passo nella direzione di un’ottica nuova. Questa scelta apre subito un conflitto cruciale con il modello di sviluppo e con il tipo di economia dominante che è un’economia ancora troppo patriarcale. Va ridefinito uno spazio di discussione su come oggi l’impegno al femminile, cristianamente ispirato, possa contribuire al bene comune. Va costruito uno spazio di presenza femminile nelle decisioni per il bene comune. Vanno esplorati percorsi di cittadinanza attiva nella polis, per risocializzare il territorio a partire dalla qualità della vita, creando nuove relazioni di affinità o di vicinato, o praticando scelte di vita che siano in contrasto con l’ideologia del mercato che, invece, divide ed isola. Occorre partire da esperienze concrete. Va incoraggiato l’impegno al femminile per un nuovo senso di responsabilità rispetto all’ambiente ed al territorio, andando oltre ad un mero atteggiamento critico verso il modello di economia imperante.
C’è una sensibilità civica, ecologica ed etica che va sviluppata, richiamandosi alla dottrina sociale della Chiesa. In questo senso, si rivela fondamentale la conoscenza del territorio in cui viviamo dal punto di vista femminile. Questo implica anche una certa comprensione dei valori, dei meccanismi, delle regole esplicite e/o sottese secondo cui si è edificata la città, spesso, senza le donne. L’obiettivo è avere elementi di comprensione e di valutazione sulla possibilità che alcune situazioni, vissute come vincoli o limiti per l’inserimento nella dimensione pubblica, possano essere valorizzate e costituire un punto di forza. Si pensi alle differenze di posizione sociale che comportano una sottovalutazione delle potenzialità di persone di recente immigrazione, insieme alla difficoltà di adattamento a cicli produttivi per motivi religiosi. E, al di là delle tematiche legate all’immigrazione, si presti attenzione alle discriminazioni cui sono spesso sottoposte le donne, ai problemi di inserimento per i disabili, alle fatiche per l’affermazione giovanile.
Dobbiamo prendere coscienza che il nostro modo di intendere, vivere ed immaginare i rapporti tra uomo e donna non sempre proviene dal Vangelo. Siamo prigionieri di abitudini, schemi e tradizioni che non hanno la loro origine nella Parola. Dobbiamo smascherare atteggiamenti che favoriscono la discriminazione. Dobbiamo infrangere l’inesplicabile silenzio che esiste di fronte alla violenza domestica che ferisce la dignità di tante donne. Noi cristiani non possiamo vivere voltando le spalle ad una realtà così dolorosa e frequente. Bisogna reagire contro la “cecità” generalizzata degli uomini, incapaci di cogliere la sofferenza ingiusta a cui si vede la donna per il solo fatto di essere tale. In molti ambiti è una sofferenza “invisibile”, che non si sa, o non si vuole, riconoscere.
(Pubblicato su “la Voce di Ferrara-Comacchio” del 15 novembre 2019)