Comunicato a cura dell’Istituto di cultura “Casa Giorgio Cini” dell’Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio sulla drammatica possibilità nella nostra Regione: «è difficile affrontare serenamente una riflessione sull’aborto, se questo viene visto come “fatto organizzativo”, “efficienza farmacologica”, “identificazione di un luogo”, “trattamento di un prodotto”»
13 dicembre 2024
I media hanno diffuso in data odierna la notizia che dal primo gennaio prossimo sarà possibile, per le donne dell’Emilia-Romagna, interrompere una gravidanza a domicilio. In pratica, tale forma di aborto consisterà nell’assunzione di un primo farmaco (la pillola RU496) presso un presidio sanitario pubblico e di un secondo farmaco (Prostaglandina) presso la propria dimora.
In materia di aborto, l’Istituto di cultura dell’Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio ribadisce, in armonia con la Chiesa tutta, due convinzioni fondate saldamente tanto sull’evidenza quanto sull’argomentazione filosofica.
Da un lato, la vita umana ha una “Dignità infinita” (per richiamare la recente Dichiarazione del Dicastero per la Dottrina della Fede) che non ha flessioni dal momento del concepimento sino a quello della morte terrena e che non viene in alcun modo ridotta dalle condizioni di debolezza che la vita può presentare: la debolezza del malato terminale, della persona con autonomie gravemente ridotte, o – ed è il caso in questione – dell’essere umano in fase embrionale.
D’altro canto, e in perfetta continuità con tale affermazione sulla inalienabile dignità umana, la Chiesa accoglie con tenerezza e affetto – anch’essi infiniti – le donne che si trovano, spesso in totale solitudine, di fronte al dramma dell’aborto; offre loro ogni strumento in suo possesso per evitarlo e poi, quando le scelte più dolorose vengono compiute, continua ad offrire ascolto, accoglienza, vicinanza, accompagnamento, sostegno concreto.
Crediamo che questi due aspetti – l’intangibilità della vita e l’accoglienza incondizionata per le persone che affrontano un dramma di così vaste dimensioni – dovrebbero trovare espressione nel linguaggio di cui si serve il legislatore, e spiace rilevare che l’atto con cui la nostra Regione introduce l’interruzione della gravidanza a domicilio (Det. 21024 del 9.10.2024) è particolarmente carente da questo punto di vista.
È evidente che le parole usate per regolamentare l’IVG determinano un giudizio culturale su quest’atto. Ed è per questo motivo che ci si sente a disagio quando la Determinazione si sofferma a lungo su aspetti metodologici e farmacologici – quasi l’interruzione di una gravidanza fosse nient’altro che un problema di efficienza – o si legge che l’IVG a domicilio “non comporta un incremento dei costi rispetto a quelli attesi nel percorso in consultorio o in ambulatorio ospedaliero”, o che l’opportunità dell’IVG domestica rappresenta “una libertà di scelta”, come se il luogo in cui viene eseguito l’aborto venisse ad incidere sul senso di ciò che sta avvenendo, o – ancora – che l’essere vivente dotato di un proprio unico e irripetibile corredo genetico venga definito “prodotto del concepimento”.
In altre parole: è difficile affrontare serenamente una riflessione sull’aborto, se questo viene visto come “fatto organizzativo”, “efficienza farmacologica”, “identificazione di un luogo”, “trattamento di un prodotto”.
Riteniamo che, ogni volta che si tocca il tema della dignità umana, il linguaggio usato debba essere all’altezza: linguaggio e attenzione all’umano si presuppongono reciprocamente. L’uno si appoggia all’altra.
Riteniamo inoltre che la società (di cui il legislatore è voce) debba affinare maggiormente il lessico e la riflessione in materia di IVG. A parole più precise corrisponderanno atteggiamenti più umani. Come Istituto di Cultura, ci sentiamo parte di questo processo di affinamento e ci mettiamo volentieri a disposizione di esso, in primo luogo esprimendo il nostro desiderio di un confronto serio e pacatao con la società tutta, per trovare le parole adatte a raccontare e normare quello che rimane uno degli aspetti più dolorosi del nostro tempo.