Il prossimo 18 agosto nella cattedrale di Uvira verranno beatificati i missionari saveriani uccisi nel 1964

di don Raymond Ekanga

Il prossimo 18 agosto la Chiesa Cattolica beatificherà quattro missionari uccisi nel 1964 nelle città di Baraka e Fizi nella Repubblica Democratica del Congo, Diocesi di Uvira, provincia del Sud Kivu. Si tratta degli italiani Luigi Carrara, Vittorio Faccin, Giovanni Didonè e del franco-congolese Albert Joubert.

I QUATTRO MARTIRI

1- Luigi Carrara, saveriano, nato a Cornale di Pradalunga (BG) il 3.03.1933 e morto a Baraka  (Congo RD) il 28.11.1964.

2- Vittorio Faccin fratello saveriano, nato a Villaverla (VI) il 04.01.1943 e ucciso a Fizi (Congo RD) il 28.11.1964.

3- Giovanni Didonè, saveriano, nato a Cusinati di Rosà (VI) il 18.03.1930 e martirizzato a Fizi (Congo RD) il 28.11.1964.

4- Abbé Albert Joubert, diocesano, nato a Saint Louis de Mrumbi-Moba, attuale provincia di Tanganyika, a sud est del Congo RD il 18.10.1908 e morto l 20.11.1964 a Fizi.

IL CONTESTO STORICO

Quella di 60 anni fa, era un’epoca di grandi cambiamenti in Africa, il periodo dell’indipendenza dai colonizzatori. Il Congo, allora chiamato Congo belga, ricevette l’indipendenza dal Belgio il 30 giugno 1960. Ma alcune di queste nazioni entrarono subito in guerre civili interne. Fu il caso del Congo, palcoscenico di guerre politiche, regionali e addirittura tribali, alimentate dai due blocchi politici di allora: l’occidente capitalista, l’Unione sovietica e la Cina con il comunismo marxista-leninista.

E la Chiesa? La Chiesa, anche in Africa, stava vivendo il rinnovamento con la preparazione del Concilio vaticano II: dai vicariati apostolici con dimensioni geografiche immense alla costituzione di diverse Diocesi. I territori di Uvira, Mwenga e Fizi costituirono la Diocesi di Uvira dall’enorme vicariato di Bukavu – Kasongo gestito dai padri bianchi missionari, seguendo le divisioni politico-amministrative. E la Diocesi di Uvira fu affidata ai padri saveriani missionari di Parma nel 1958 con padre Danilo Catarzi come primo vescovo.

Sappiamo che il vento dell’indipendenza fu un puro momento di euforia, nel senso che alcuni politici scatenarono conflitti tra popoli o tribù per governare il Paese. C’erano ancora pochi intellettuali e anche dal punto di vista della fede pochi erano stati battezzati.

L’ASSASSINIO DEI MISSIONARI SAVERIANI

Nel pomeriggio del 28 novembre 1964 alcune milizie contrarie al governo centrale arrivano a Baraka a caccia dei missionari, arrivate alla parrocchia Cuore Immacolato di Maria, l’unico punto d’interesse della città; qui incontrano il fratello Vittorio Faccin al quale intimano di salire sulla Jeep per andare nella parrocchia San Giovanni Battista di Fizi a 30 km; ma egli rifiuta e senza esitare il comandante gli spara e lo uccide sul colpo. Il parroco don Luigi Carrara dal confessionale sente lo sparo ed esce subito per vedere cosa succede. Trova Faccin esanime per terra ma i ribelli gli chiedono di salire sulla jeep. Padre Carrara risponde loro: «Non posso andare con voi, devo restare accanto al mio confratello», e anche lui viene colpito: un unico colpo alla testa e cade accanto al confratello. Allora i ribelli caricano i due corpi e li portano a Fizi. Arrivati lì in tarda serata, i ribelli vanno in parrocchia, suonano al cancello e ad aprirgli è l’abbé Joubert che non ha nemmeno il tempo di conoscere gli individui che bussano alla loro porta e viene colpito da un proiettile. I ribelli entrano quindi nel recinto e si dirigono verso la canonica, dove incontrano padre Didoné, che uccidono. Poi, invece di lasciare i corpi per la sepoltura, li dilaniarono compiendo un’esibizione macabra, con grida e imprechi contro la religione.

TESTIMONIANZE

Le prime testimonianze vengono da persone all’epoca giovanissime. I ribelli non accettavano la presenza di missionari, non volevano più sentir parlare di Gesù perché, secondo loro, la religione ha creato un grande male alla popolazione assecondando il governo discriminante coloniale. Tutto ciò era alimentato dalle ideologie comuniste. Ma il rapporto tra i missionari e la gente era ottimo, come testimonia un signore il cui padre era catechista a Fizi. Dice dell’abbé Joubert: «In questi momenti difficili di guerre e confusioni, ti prego di continuare a non aver paura e a credere che con Gesù ci si trova nelle mani sicure». Joubert, padre dell’abbé Albert, era stato uno zuavo al servizio del Pontefice a Roma e al momento della pensione ha preferito andare vivere in missione in Congo a Moba con i padri bianchi; quindi, si era sposato con una congolese ed ebbe quattro figli, tra cui Albert che divenne sacerdote e si aggregò anch’egli ai saveriani.

IL MARTIRIO COME DONO DI SÉ

Il martirio è dono dello Spirito, esso non ha tempo. Cristo Gesù, primo martire, ha dato la sua vita in riscatto per i nostri peccati, per la verità, per testimoniare che il Signore Dio è l’Unico che dà senso alla nostra esistenza. Il martirio è cristiano perché i fedeli a Cristo adottano uno stile di vita che disturba, un modo di vivere che interroga le coscienze e cerca di dare senso alla solidarietà. I martiri sono persone fedeli a Cristo, uccisi perché fedeli alla carità e all’amore del prossimo sull’esempio di Cristo, offrendo la loro vita per la glorificazione del Regno di Dio. Tanti sono i cristiani che hanno dato la loro vita seguendo i consigli evangelici, vivendo le beatitudini come risposta al grande programma preparato da Gesù nel capitolo 5 del Vangelo secondo Matteo.

DOPO IL MARTIRIO

La Guerra Civile in Congo proseguì per molti anni, a parte qualche periodo di calma: fazioni contro nazionalisti, esercito nazionale contro le milizie di mercenari. In questo periodo molti sono i missionariuccisi nelle Diocesi di Kindu, Wamba, Kisangani, Mahagi…missionari italiani, belgi, francesi di diverse congregazioni: saveriani, comboniani, missionari d’Africa (padri bianchi). Nel 1965 un militare, il generale Mobutu, prese il potere e ci fu un periodo di calma fino al 1996.

LA BEATIFICAZIONE

Per ragioni probabilmente logistiche la cerimonia di beatificazione del 18 agosto non si terrà né a Baraka né a Fizi ma a Uvira. Essa sarà presieduta dal Cardinale Ambongo Besungu Fridolin ofm. Cap. Arcivescovo metropolita di Kinshasa, concelebrata dal Nunzio Apostolico Javier Herrera Corona, dal Vescovo ordinario Sebastien Joseph Muyengo Mulombe e da altri prelati dei Paesi limitrofi.  La Chiesa riconosce il martirio subito dai suoi figli per odio alla fede e alla vita caritativa evangelica. I quattro martiri sapevano del pericolo imminente che correvano con la guerra civile in corso, «sapevano che il martirio non è la scelta della morte ma piuttosto la scelta di non anteporre nulla alla vita di chi amiamo»; la scelta di misurare il peso che porta l’andare verso la croce al frutto che genera la morte. La testimonianza della Chiesa è l’insegnamento che Gesù continua a dare a chi Lo segue come segno di crescita, di una Chiesa locale matura, Chiesa che cresce col sangue di Cristo, chiesa esposta a «rendere sempre conto della speranza che è in lei» (1 Pi 3, 15).

Il vento dell’indipendenza in Africa aveva portato non solo un risentimento verso il colonizzatore ma soprattutto il disprezzo di tutto ciò che il colonizzatore aveva portato; e pur avendo la possibilità di fuggire, questi consacrati hanno pensato ciascuno al confratello e al gregge affidato a loro, hanno preferito restare. Così raccontò padre Didonè al suo catechista di Ngandja-Fizi (intenzione raccolta dal nipote).

I CADUTI DELLA GUERRA DAL 1996 AD OGGI

Al momento del colpo di stato in Congo contro Mobutu nel 1996, durante il periodo di transizione furono uccisi un bel numero di sacerdoti diocesani di Uvira: abbé Kahegezo Koko Boniface a Kidote, abbé Ndogole Jean Marie portato via e ucciso in montagna, abbé Kalinda, abbé Wabulakombe Stanislas, alcune suore della Risurrezione di Bukavu e i fedeli in chiesa a Kasika, abbé Kibugu Pepe Joseph a Kiliba; tutti morti per mano delle milizie armate per il cambiamento geo-politico e religioso. D’altronde molti laici sono rimasti nel dimenticatio, anonimi, essi che erano la forza delle loro comunità: alcuni dei loro corpi sono stati trovati dai soccorritori. Non si può non parlare di guerriglie che oggi continuano a causare sfollamento di popolazioni, violenze su donne e bambini, spogliazione di beni e sfruttamento illegale di minerali. Il Congo è rimasto una terra martirizzata, una trappola che sta esplodendo per gli interessi di alcune multinazionali.

LA DIOCESI DI UVIRA E QUELLA DI FERRARA COMACCHIO

Alcuni sacerdoti di Ferrara-Comacchio sono stati missionari a Uvira: don Alberto Dioli e don Francesco Forini. E Padre Silvio Turazzi, missionario saveriano, originario di Bondeno, che ha vissuto qualche anno a Kamituga prima di essere nominato a Goma. Altri sacerdoti ferraresi, come mons. Raffaele Benini, mons. Giuseppe Crepaldi, mons. Ugo Costa, don Andrea Turazzi hanno avuto l’occasione di andare a Uvira per rendersi conto della realtà vissuta dai confratelli nella missione, vivendo nella rinuncia e nella condivisione per la crescita del prossimo.

La Diocesi di Uvira attende sempre a braccia aperte missionari ferraresi per continuare l’opera di Cristo per curare i malati, soprattutto bambini disabili, e per la formazione di catechisti.

La beatificazione è dunque frutto del sangue versato dai martiri, segno di mistero dell’amore di Cristo e scuola vivente dove si impara a prendere il gusto delle cose sacre e a condividere con il prossimo le ricchezze spirituali indicate nel Vangelo. Come ha detto Papa Francesco nell’omelia della S. Messa a Santa Marta il 30 gennaio 2017, riprendendo un antico scrittore, «il sangue dei martiri è il seme dei cristiani».

La forza del martirio non può che venire dalla preghiera e dall’adorazione del Crocifisso, e finché Gesù è vivo lo Spirito Santo non mancherà di dare ai fedeli la giusta via da percorrere per dare la vita a chi si ama realmente.

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