Il racconto di Paolo Gioachin il 26 gennaio a Casa Cini: «le camicie nere erano convinte che il Vescovo nascondesse l’oro degli ebrei». Le sue vicende affiancate a quelle di Veneziani

Storie di cristiani ed ebrei che non solo convivono tollerandosi vicendevolmente, ma che dimostrano proprio nei momenti più drammatici di sapersi fratelli nell’unico Dio.

Sono le esistenze di mons. Ruggero Bovelli e di Vittore Veneziani a rappresentare pienamente questa tutto ciò: se n’è parlato nel pomeriggio del 26 gennaio a Casa Cini a Ferrara durante l’incontro “Essere solidali in tempo di guerra: mons. Ruggero Bovelli e M.o Vittore Veneziani”.

IL BUON PASTORE BOVELLI E LA SUA PORTA SEMPRE APERTA

Partiamo dal presule ferrarese, che ha guidato la nostra Diocesi per un quarto di secolo, dal ’29 al ’54, dalla Grande depressione all’inizio delle trasmissioni tv. Ne ha parlato lo storico Paolo Gioachin dopo la breve presentazione da parte del nostro Vicario mons. Massimo Manservigi. 

«Mons. Bovelli – ha spiegato il relatore – inizialmente fu tra quelli dentro la Chiesa – tanti – che in nome dell’anticomunismo e della conseguente secolarizzazione, videro comunque il fascismo come un possibile argine. E che si illusero di poterlo ammansire. Ma anche per lui il 1938 rappresentò uno spartiacque».

Prima di quest’anno, in cui entrarono in vigore le leggi razziali, erano 670 i membri della comunità ebraica nella città di Ferrara. Un numero importante, anche se il peso degli ebrei nella nostra città era anche qualitativo, essendo ben integrati nel tessuto sociale, e rappresentando differenti classi sociali. Docenti, avvocati, commercianti erano ebrei, senza dimenticare il Podestà Renzo Ravenna. Nel ’38 furono 70 gli studenti ebrei espulsi dalle nostre scuole, oltre a diversi impiegati pubblici e statali. Ma la comunità ebraica reagì aprendo una scuola, e tentando nel ’41 di dar vita anche alle Medie. 

«In questa comunità – ha riflettuto ancora Gioachin – c’era però anche disorientamento, qualcuno cercò di salvarsi facendosi battezzare o entrando in un percorso di catecumenato». E qui entra in campo il “Pastor et Defensor” Bovelli: nel momento in cui «iniziò ad agevolare la trascrizione di molti battesimi di ebrei», in vista dell’entrata in vigore della legge il 1° ottobre ’38, e «difendendo anche i parroci che le trascrizioni le compivano materialmente».

Una delle case della nostra Diocesi divenne in quegli anni davvero la casa di tutti: «con Bovelli – ha proseguito Gioachin – l’Arcivescovado diventa fulcro di sostegno alla città. Non negò mai un aiuto a chi bussava alla sua porta, anche se non sempre riusciva nel suo intento. Cercò anche di far spostare ferraresi dai campi di prigionia del sud Italia a località più vicine a Ferrara». Salvò la vita a tanti, compreso il Rabbino Capo, fuggito a Modena. Ma vi è un documento nel nostro Archivio diocesano, non inedito ma comunque poco noto, e ritrovato da Gioachin, che conferma ulteriormente la profondissima attenzione del Vescovo per gli ebrei ferraresi: nel ’44 il Vaticano chiese a lui, come a tutti i vescovi italiani, un resoconto sulla situazione delle Diocesi nella guerra. Bovelli rispose a guerra finita, scandendo la missiva in quattro punti: nonostante non venne chiesto in modo esplicito di parlare degli ebrei, il primo punto era dedicato proprio a loro. Nello stesso documento, Bovelli spiega «come venne a sapere che i fascisti avevano progettato di perquisire l’Arcivescovado, sperando di trovarvi l’oro occultato degli ebrei».

In segno di ringraziamento, alla fine della guerra la comunità ebraica gli fece dono di un anello con impressa l’effige del buon pastore. «Una volta disse che nulla gli era più caro e prezioso di quell’anello. Un’altra voce, ma ancora non confermata – ha concluso Gioachin -, parla di diverse persone in pericolo ospitate nel Seminario di Ferrara grazie all’intervento di Bovelli».

VENEZIANI, MAESTRO CHE TRASFORMAVA LE PERSONE

La storia di Veneziani, direttore di coro e compositore, è, invece, quella di un esule, di un uomo costretto a scappare, a nascondersi perché ebreo. Nel ’38 viene licenziato dalla Scala di Milano, dopo l’8 settembre del ’43 dovrà lasciare l’Italia e rifugiarsi in Svizzera, ospite nel Collegio Sant’Anna a Roveredo, nei Grigioni italiani.

Delle sue vicende in Svizzera ne ha parlato innanzitutto Laura Zanoli, Bibliotecaria del Conservatorio “Frescobaldi”, autrice della riscoperta della sua Messa nel faldone a lui dedicato, colmo di schizzi, abbozzi, partiture e manoscritti, e la cui catalogazione non si è ancora conclusa.

A Roveredo, la sua Messa venne eseguita nel ’45 dal coro da lui diretto nella liturgia per la riapertura della chiesa dopo i restauri. Un periodico in italiano del cantone dedicò un articolo all’evento: nel pezzo si parla di «una magnifica giornata di sole autunnale», di questo «bellissimo e vetusto tempio» nel quale si è ritrovato, «numeroso, il popolo festante del borgo». E poi c’è l’elogio a Veneziani e alla sua «opera eseguita alla perfezione». Un successo derivante anche dalla sua capacità, abbastanza rara, di «trasformare il materiale umano a disposizione – ha spiegato Zanoli -, di riuscire a creare realtà artistiche di una certa solidità», partendo come in questo caso da un coro non professionista. 

La stessa Messa, Veneziani la scrisse per un coro a quattro voci (solitamente le sue composizioni erano per 7 o 8 voci), più la voce di un bambino, e per l’armonium. Non a caso, quindi, i suoi due anni in Svizzera «furono quindi molto prolifici». Scrisse molto per la liturgia cattolica, «pur mantenendo i legami con la cultura e la musica ebraica»: qui, infatti, elaborò anche i “Canti spirituali d’Israele”, conservati anch’essi nell’archivio del “Frescobaldi”.

Un ulteriore contributo su Veneziani è arrivato da Teresa Auletta, che ha citato un’intervista rilasciata nel ’55 dal compositore alla Radiotelevisione Svizzera, dove parla anche della nascita della sua corale, il “Coro Città di Ferrara”, poi diventata Accademia Corale “V. Veneziani”, diretta proprio dalla Auletta. «Da tanti anni – dice – ho il sogno di realizzare un coro nella mia città». E riferito alla Messa di Roveredo: «vi ho messo tutto l’entusiasmo».

La Messa è stata eseguita per la prima volta in una chiesa a Ferrara nel pomeriggio del 28 gennaio, a S.Stefano, durante la liturgia presieduta dal nostro Arcivescovo. Eseguiti anche alcuni brani di Lorenzo Persosi. Lo scorso 20 novembre fu invece protagonista nel Ridotto del Teatro Comunale. Auletta ha, infine, anticipato come la “V. Veneziani” la porterà il prossimo 30 aprile nell’Abbazia di Nonantola in occasione della festa di S.Anselmo (primo abate e fondatore dell’Abbazia), e forse a Bologna nel prossimo Avvento.

Andrea Musacci

Articolo pubblicato su “La Voce” del 03 febbraio 2023

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(Foto di Pino Cosentino)

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