L’esposizione nel rodigino Palazzo Roverella: rigore e silenzio in un’originalità atemporale
di Micaela Torboli
Pensando a Munch e al suo Urlo, interpretiamo spesso le arti nordiche come specchi di disagi e tristezze al limite della nevrastenia: a volte è corretto, talora solo in parte, o mai. Non si abbiano pregiudizi avvicinandosi alla mostra Hammershøi e i pittori del silenzio tra il Nord Europa e l’Italia che illumina le sale di Palazzo Roverella a Rovigo (fino al 29 giugno 2025). Luce serena regna nei quadri, anche se un lato ombroso non manca. I raggi di un sole mite colpiscono lindi interni domestici dalle cromie delicate, con molti bianchi a dominare. Non tanto di silenzio si tratta, ma di quiete. Immobilità mistica, calma, dominio dell’emotività. Il silenzio è altra cosa, e ha una etimologia ricca di concetti filosofici e prudenziali in quanto legata al tacere, silere in latino. Hammershøi ordina il suo mondo cartesiano. È un Bach voltato in pittura.
A Rovigo il curatore Paolo Bolpagni, che guida la prima restrospettiva italiana di Hammershøi, è conscio della scarsa notorietà di un pittore che ebbe successo in vita, ma fu poi dimenticato. Da ultimo però raggiunge quotazioni stellari per i suoi quadri: nel 2023 La stanza della musica, Strandgade 30, del 1907, spuntava da Sotheby’s oltre 9 milioni di dollari e ora appartiene all’Art Institute di Chicago. Simili acuti pecuniari sdoganano.
La personalità del pittore Vilhelm Hammershøi (Copenhagen 1864-1916) si oppone ai profili di artisti bohémiens, immersi in una vita disordinata e scandalosa. Visse sempre nella capitale del regno, pur viaggiando con piacere. Era benestante e frugale, fedele all’amata moglie Ida Ilsted, sorella del pittore Peter. Bambino prodigio, dalla famiglia Vilhelm ebbe pieno appoggio, in specie dalla madre Frederikke. Scrupoloso e lento nell’esecuzione, i suoi quadri non sono numerosi. Organizzava in casa le stanze da dipingere, per lo più deserte e depurate con rigore da ogni oggetto superfluo, come fossero set cinematografici – non per nulla il pittore ha ispirato registi come Ingmar Bergman, Carl Theodor Dreyer e Woody Allen -, attento a volumi ed equilibrio formale tra essi. Ida vi trova talora spazio, raffigurata anche di spalle, e questo ha fatto pensar male: straniamento, ostilità. Sbagliato. La Rückenfigur (“figura vista da dietro”, termine tedesco in uso) non è rara in pittura. È presente in vari toni da Giotto a Michelangelo, fino a Caspar David Friedrich, Carl Gustav Carus, Johan Christian Dahl, Johann H.W. Tischbein (Goethe alla finestra, 1786-7, Francoforte, Freies Deutsches Hochstift), Gustave Caillebotte, Giovanni Boldini, Norman Rockwell. Anche i dipinti di autori europei presenti a Rovigo per un confronto rivelano consonanze, ad esempio il livornese Oscar Ghiglia presenta la moglie Isa di spalle (1917-18). Difficile incasellare Hammershøi in uno dei tanti -ismi: si avvicina al Simbolismo, ma gli sta stretto. Più corretto è legarlo a Vermeer come ispiratore, ma l’operazione limita, perché richiami ad altri pittori nordici sono possibili: in mostra un valido Gerard ter Borch (Il messaggio, 1658 ca., Lione, Musée des Beaux Arts). In realtà Hammershøi ha una sua originalità atemporale, sospesa in un limbo antistorico. Riconosciamo giusto gli stili dei suoi mobili, come un bel divano “en bateau”, già antiquato allora, per essere in stile Impero.
A proposito di silenzio, in mostra è presente una rara edizione dell’opera Città del silenzio di D’Annunzio (da Elettra, II, 1903-4), che si apre con Ferrara (O deserta bellezza di Ferrara…). La quiete di Ferrara e le geometrie dei suoi edifici sarebbero piaciuti al danese, come accadde a De Chirico, altro genio scorbutico. Nel 1904 il poeta Rainer Maria Rilke volle incontrare il danese ma non ne trasse alcun frutto, perché si trovò davanti un muro di silenzi e fastidio. Purtroppo il riservatissimo Hammershøi non rilasciò in vita altro che un’unica intervista e nessuno scritto teorico. Un appiglio utile viene dalle lettere, ma il suo sprone artistico è impalpabile, e va dedotto solo dai suoi sublimi dipinti.
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 7 marzo 2025