Esattamente 60 anni fa, l’8 luglio 1864, tornava al Padre la ferrarese suor Veronica del SS. Sacramento, che visse per mezzo secolo nel Monastero di Santa Chiara. Il ritratto di una donna che ha sperimentato, fin dall’infanzia, sofferenze di ogni genere. Ma che ha saputo sempre vivere nell’amore per il Signore

di mons. Daniele Libanori

Suor Maria Veronica Teresa del SS. Sacramento (Cesira Pazzafini), nacque a Ferrara il 16 novembre 1896. A otto anni restò orfana di padre e, per le misere condizioni economiche, fu affidata dalla madre al Conservatorio della Provvidenza, retto dalle Suore della Carità di S. Antida Thouret. Vi rimase per dieci anni, durante i quali, soprattutto durante l’infanzia e la prima adolescenza, sperimentò durezze e incomprensioni. Ma fu anche un tempo ricchissimo di grazie. Il Signore faceva così maturare in lei la vocazione alla vita cappuccina e, di più, le faceva comprendere come la sua vocazione specifica fosse quella di partecipare in maniera singolare alla sua sofferenza redentrice. 

CREDUTA PIÙ FUORI CHE DENTRO

Fu accolta nel Monastero di S. Chiara, a Ferrara, nel 1915. Attraversò lunghi periodi di prove fisiche e morali; fu ripetutamente sul punto di morte; benché amata dalla Comunità, sperimentò la pena di non essere creduta e tenuta per sempliciotta. Anche attraverso tutto questo il Signore continuava la sua opera. 

Le esperienze spirituali che si ripetono ormai da anni e che confida con la più grande semplicità – anche, talvolta, con pena – al suo Confessore e alla Superiora, per l’imprudenza di qualcuno, vengono conosciute fuori dal Monastero e richiamano l’attenzione dell’Arcivescovo. Nell’aprile del 1927 mons. Francesco Rossi, uomo prudente e pio, nel timore di pericolosi fanatismi, affida al cappuccino P. Giulio da Praduro e Sasso il compito di esaminare attentamente la piccola monaca.

L’incontro avviene attorno alla metà del mese, durante un ritiro. La prova, che alla fine lascerà pienamente convinto il P. Giulio dell’autenticità sull’esperienza spirituale di Suor Veronica durerà fino al suo trasferimento a Bologna, da dove continuerà a guidarla spiritualmente per lettera. Da allora la sua vita continuerà sempre uguale, nei ritmi quieti e intensi del Monastero, tra elevazioni di spirito, insieme a malattie e disagi che pesano sulla sua salute sempre malferma.

LA MALATTIA E LA MORTE

Nel marzo 1964 Suor Veronica accusa i primi dolorosi sintomi del male che la porterà rapidamente alla fine; in maggio le viene diagnosticato un tumore al cervello; ormai è costretta a letto trafitta da dolori terribili. Avendo perduto la parola e la conoscenza, le riacquista, tra la meraviglia delle Consorelle, al momento di ricevere i Sacramenti e alla fine, quando, dopo ripetute insistenze delle monache, che ricordavano come Suor Veronica ne avesse espresso il fermo desiderio, la Madre Abbadessa le dà obbedienza di morire; così si spegne l’8 luglio 1964, circondata dalla stima e dall’affetto della Comunità monastica e di tutta la Città, che l’ha in venerazione; aveva 67 anni e otto mesi. 

IL DOLORE E L’ABBANDONO

Durante i 50 anni di vita religiosa aveva ricoperto diversi incarichi tra cui quello di Maestra di noviziato comune, formando Monache che poi andarono in vari Monasteri dell’Italia e anche in missione. Molti mentre essa era in vita, ricorrevano a lei per la preghiera e il consiglio e molti di più oggi ricorrono alla sua intercessione. 

Abbracciando la vita monastica, essa – sostenuta dalla grazia della vocazione – compie la scelta consapevole ed eroica della croce del Signore nella vita di penitenza, secondo la regola della famiglia cappuccina. L’amore per il Signore crocifisso diviene la lente attraverso la quale essa capisce le difficoltà, le incomprensioni, le autentiche violenze psicologiche che hanno segnato la sua infanzia e la giovinezza, e la sofferenza fisica che la colpì fin dalla sua prima maturità per accompagnarla tutta la vita. La sofferenza è accolta e anzi ricercata come un dono del Signore, come singolare partecipazione alla sofferenza del Redentore per la salvezza del mondo. La centralità della croce viene riproposta nella vicenda spirituale di Suor Veronica con un vigore straordinario, eppure non viene meno in alcun modo quella semplicità di vita e di accenti che rendono la piccola Monaca così vicina ad ognuno. Se infatti furono molti e singolari i doni con i quali il Signore l’ha benedetta, essa giunge a noi, dagli scritti e dalle tantissime testimonianze, nonostante la salute debolissima, l’allergia che spesso le toglieva il sonno, i momenti non infrequenti di buio.

Quella di Suor Veronica è la sapienza dei semplici e in lei sembra che il Signore abbia santificato l’umile vita di tanti.

LO SCRITTO: «DAMMI LA FORZA NELLE SOFFERENZE»

In uno scritto dell’Avvento 1928, Suor Veronica – certa che nessuno l’avrebbe letta, tranne il Confessore – si rivolge a Gesù in molti scritti chiamandoLo “babbo”, un modo certamente singolare, ma l’espressione diviene subito comprensibile alla luce di un testo che ritroviamo nei suoi scritti autobiografici, là dove racconta di essersi sentita chiamare da Gesù: «figlia della mia passione». 

Suor Veronica il 7 dicembre 1928 scrive: «Prima di tutto, o mio Tesoro, Ti domando la grazia di morire a me stessa, per vivere solo della Tua vita d’amore, ma d’amore forte, generoso e disinteressato; e d’amore, non solo naturale, ma soprannaturale, puro. Poi o Gesù fa che non sia superba, ipocrita, permalosa; che non abbia mai della vanagloria, e della compiacenza nelle lodi. […] 

Dammi la forza nelle sofferenze, tanto fisiche, come morali e spirituali, per saper far tesoro di questo dono si prezioso, soffrendo con quella generosità che Tu desideri […]. Dammi, o babbo mio Divino, la confidenza con il mio Padre spirituale. Tu vedi, o mio Tesoro, la volontà buona l’ho, ma sono debole, perciò ricorro a Te, per avere forza e aiuto. Senza di Te, io sono solo capace di rovinare l’opera tua; fa o Gesù che ciò non avvenga, ma che corrisponda ai disegni che hai sulla piccola anima mia. Accettami, o Gesù buono, nel numero di quelle anime fortunate, che per corrono la piccola via di Santa Teresa del Bambin Gesù.

Ti vorrei domandare anche altre grazie o Gesù buono per l’anima mia: 1° la follia della croce, 2° che nessuna cosa di questa terra turbi la mia pace, perché so, o mio Tesoro , che le vittime senza la pace, non Ti piacciono, 3° Che io sia un nulla per le creature della terra.

Ecco, le grazie, i doni che io bramerei da Te o Gesù e Babbo mio Divino, per il bel giorno del Tuo Compleanno e in seguito. Sono tante, ma non dubito ottenere da Te, perché so che sei molto ricco e che non impoverisci mai. Nella ferma sicurezza che le mie domande verranno da Te benignamente accolte ed esaudite, Ti mando un grazie anticipato e Ti prometto d’incominciare a essere più buona e più generosa».

Pubblicato sulla “Voce” del 28 giugno 2024

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