È da poco uscito il nuovo volume di Michel Pastoureau, dedicato al colore rosa. Le opere di due ferraresi
di Micaela Torboli
È fresco di stampa il volume Rosa. Storia di un colore di Michel Pastoureau (Milano, Salani/Ponte alle Grazie). Si tratta della settima puntata delle ricerche dello storico dedicate ai colori, dopo Blu, Nero, Verde, Rosso, Giallo, Bianco. Il tema è inserito nella coralità del mondo dei colori e dei loro rapporti reciproci. Partendo dai tempi più remoti – il toro delle grotte di Altamira risalente al Paleolitico – si giunge fino a Barbie e alla Pantera Rosa.
Essendo francese, Pastoureau concentra l’attenzione al proprio mondo culturale, cercando sensatamente di non allargarsi a troppe altre realtà. A quella italiana, magari, che compare solo a tratti. Ecco per esempio che l’araldica, della quale l’autore è riconosciuto esperto, si rivela un campo da sondare meglio, riguardo al colore rosa: infatti in Francia «Niente rosa nell’araldica» (p. 48), spiega, mentre in Italia, si può precisare, è data per gli stemmi la Carnagione, sfumatura di rosa tipica della pelle umana. L’Italia ha una marcia in più nel campo del rosa, anche grazie ad autori rinascimentali di opere dedicate ai colori. La più nota è il Dialogo di M. Lodovico Dolce, nel quale si ragiona delle qualità, diversità, e proprietà dei colori (Venezia, Sessa, 1562) e una di esse si lega anche a Ferrara, essendone l’autore Fulvio Pellegrino Morato, letterato mantovano di casa alla corte estense, il quale pubblicò nel 1535 Del significato de colori (citato in Rosa a p. 81) dove si legge «Amoroso piacer hà l’Incarnato», colore consigliato agli innamorati (pp. 18r-18v ed. Spineda, Venezia 1604). Ferrara torna in Rosa per il Ritratto di principessa estense di Pisanello (1440 ca., Parigi, Louvre) dove abbondano fiori rosati, e troviamo purtroppo nel testo un inaudito «Nicola III d’Este» (p. 103) anziché Nicolò III.
Del resto, Ferrara fa storia nel rosa, essendo campioni del colore in arte due titani ferraresi, cioè Carlo Bononi (Ferrara 1569/1580 ca. – ivi 1632) e Giovanni Boldini (Ferrara 1842- Parigi 1931), di epoche diverse ma accomunati dalla preferenza per il rosa. Bononi si allea al rosa nobile detto “rosa feniceo” o “puniceo” (Dolce, pp. 15r-15v) «il qualle arde a guisa di Viola infiammata», talora deviato al tenero “roseo”, più chiaro. Nelle opere di Bononi non manca quasi mai un tocco rosa, anche “pavonazzo”, che spicca: maniche, manti, gonne, guance soffuse di rosa. La scala descrittiva implica variazioni. Bononi non ama vestire di rosso la Vergine, essendo, il rosso, regale, ma bellicoso. Così dedica a Maria il “rosa secca” che si avvicina al porpora, tinta imperiale. Sfuma dal rosa chiaro al vermiglio il drappo che avvolge i fianchi dell’Angelo custode più scultoreo della pittura del ‘500 (Ferrara, Pinacoteca Nazionale di Palazzo dei Diamanti) che Bononi dipinse per la chiesa di Sant’Andrea intorno al 1625.
Dovette ammirare questa grande tela (cm. 240×141), il giovane Boldini. Se-ducente (ovvero che attira verso di sé) è il rosa di Bononi, infatti nei suoi insiemi l’occhio cade verso la concentrazione sul rosato, che dipinge talora in minimi cenni; lezione basilare per Boldini. Che ne farà buon uso, anche però spesso, al contrario, espandendo all’estremo il colore, basti pensare all’apoteosi del rosa del Ritratto di Olivia de Santiago-Concha y Valdés (questo è il cognome giusto di Olivia, ancora nubile nel 1916, quando fu ritratta; il dipinto si trova a Ferrara, Musei Civici d’Arte Moderna e Contemporanea). Il magistero di Boldini tocca qui vibrazioni e paradigmi ineguagliabili. I suoi rosa, con preferenza al battagliero magenta e al fuchsia (che richiama la pianta dedicata al botanico Leonhart Fuchs), celano segreti: ad esempio, oltre ai pigmenti sintetici industriali, egli usava prodotti naturali come la lacca di garanza, ottenuta dalla robbia (Rubia tinctorum L.), che ha toni così magnifici da aver originato un nome di battesimo femminile francese, Garance.
Nel 2025 riaprirà (forse) Palazzo Massari, e rivedremo Olivia in rosa: parafrasando Gertrude Stein, è rosa, è rosa, è rosa.
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 6 dicembre 2024
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