“Ebrei ad Argenta. Testimonianze archivistiche, 1362-1556” il nome del volume curato da Dante Leoni e con prefazione di Piero Stefani

“Ebrei ad Argenta. Testimonianze archivistiche, 1362-1556” è il nome del libro di Dante Leoni (classe 1920) (foto) che verrà presentato il 9 giugno alle ore 17 nella Biblioteca Ariostea in via delle Scienze, 17 a Ferrara. A cura di Sergio Felletti epubblicato quest’anno da C.d.S. Edizioni (Centro di documentazione Storica di Longastrino, in collaborazione con l’Istituto Gramsci e l’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara), il volume ha la prefazione di Piero Stefani, che dialogherà il 9 giugno con l’autore.

Dante Leoni, nato a Longastrino, è Cavaliere della Repubblica, pluridecorato di guerra, dirigente d’azienda, dirigente sindacale provinciale e nazionale, uomo politico. Guida e stimolo per questa ricerca archivistica sono stati gli studi di Aron di Leone Leoni e la lettura del volume “Presenza ebraica a Ferrara. testimonianze archivistiche fino al 1492”, scritto da Adriano Franceschini e pubblicato postumo nel 2007. Si tratta della prima ricerca organica di documenti relativi alla rilevante presenza ebraica ad Argenta.

EBREI USURAI: COME NACQUE E SI SVILUPPÒ QUESTA INFAMIA

Al di là dell’importanza specifica del volume in oggetto, l’indagine storica compiuta da Piero Stefani nella prefazione è particolarmente utile per contestualizzare il tema del prestito e dell’usura, spesso a torto attribuiti al mondo ebraico.

«Contrariamente a quanto spesso si afferma», scrive Stefani, gli ebrei «non sono sempre stati prestatori. Lo sono diventati soltanto a partire dai secoli XI-XII. La liquidità degli ebrei era dovuta al fatto che la crescente estensione del commercio cristiano e l’espansione delle corporazioni (a cui gli ebrei potevano difficilmente accedere) aveva impedito loro altre modalità di investimento». Probabilmente risale all’anno 806 la prima rigida definizione di usura da parte della Chiesa (qualunque transizione monetaria in cui si richiedesse «più di quel che si era dato»): «per uscire dall’impaccio si fece ricorso al prestito ebraico». Inoltre, è importante sottolineare come gli ebrei non fossero «i soli a dedicarsi a questa attività», ma «gli unici a farlo in modo pubblico, controllato e tutelato dalle attività civili». L’usura, secondo Stefani, fu invece un’attività più cristiana che ebraica, proprio a causa delle eccessive leggi canoniche riguardanti il prestito. 

«Nonostante la sussistenza di inveterati pregiudizi – prosegue -, l’abbondante documentazione archivistica al riguardo dimostra, di per sé, che quello ebraico fu un prestito legale», oltre che minuto e non su vasta scala come in certo mondo cristiano. E prosegue spiegandone scopi e meccanismi: «In società contraddistinte dalla disuguaglianza sociale, il prestito è una forma di aiuto finanziario indispensabile. C’è chi è sprovvisto di denari e chi invece ne possiede. Il prestito è una forma di transizione da cui entrambe le parti confidano di trarre vantaggio». Ciò valeva anche per un territorio prevalentemente agricolo come quello argentano, in balìa dei capricci della natura: «per risolvere le difficoltà si chiedeva un prestito e ci si augurava che il futuro raccolto consentisse di restituire al prestatore la somma ricevuta, accresciuta dall’interesse nel frattempo maturato».

I contratti, detti “condotte”, per regolare la presenza ebraica in questo ambito, erano chiari: definivano il numero di anni in cui gli ebrei potevano rimanere in una città, le condizioni della gestione del banco, le garanzie date al prestatore, l’ammontare del capitale, il livello dell’interesse. Solo coi Monti di Pietà, «via di mezzo tra una banca e un’istituzione cristiana», anche nel mondo cristiano si uscì dall’ingiusta condanna di ogni forma di prestito, per poi arrivare alla nascita degli istituti di credito. Ma per superare l’odioso pregiudizio antiebraico, dovettero passare ancora diversi secoli.

Articolo pubblicato su “La Voce” del 9 giugno 2023

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