Il 18 aprile 1948 nel voto per il primo Parlamento italiano post fascismo si scontrarono, fondamentalmente, il Fronte Democratico Popolare (socialisti e comunisti) e quello aggregato attorno alla Democrazia Cristiana. Fu una lotta storica

di Francesco Paparella

Sono trascorsi 75 anni da quell’elezione che contribuì a formare il primo Parlamento italiano e, soprattutto, a dare la svolta decisiva al nostro Paese in senso democratico e atlantista.

Il 18 aprile del 1948 si scontrarono, fondamentalmente, i due principali fronti che ideologicamente si contrapponevano: quello del Fronte Democratico Popolare, composto da socialisti e comunisti e quello aggregato attorno alla Democrazia Cristiana.

IL CONTESTO STORICO

Come anche ben evidenziato nella serie articoli di Paolo Gioachin nel 2020 in occasione dei 75 anni dalla liberazione, tutto il cammino dell’antifascismo ebbe il suo perfezionamento proprio nell’aprile del 1948 con le elezioni che rappresentarono anche una doppia sfida: sia in difesa del completamento dell’iter democratico del Paese sia in difesa della libertà della Chiesa cattolica, dei suoi sacerdoti e dei suoi fedeli, che in quei mesi percepiva come una minaccia il confronto elettorale con il Fronte Democratico Popolare e la parte più intransigente di esso.

Le elezioni dell’Assemblea Costituente nel 1946 avevano, a Ferrara, lasciato la Democrazia Cristiana ad un deludente 14% rispetto ad un 35% su base nazionale, mentre i socialisti (20%), insieme con i comunisti (18%) avevano ottenuto un ottimo risultato che infondeva loro grande ottimismo verso le elezioni del 1948.

I mesi che separarono le elezioni dell’Assemblea Costituente dalle prime elezioni politiche furono caratterizzate da forti tensioni politiche interne ed internazionali. 

A maggio del 1947 era finita la partecipazione del PCI e del PSI ai primi governi De Gasperi e la contrapposizione si caratterizzava con toni sempre più accesi e richiami a moti rivoluzionari, ma soprattutto erano le notizie dall’estero ad alimentare lo scontro. 

In Europa lo svilupparsi della “guerra fredda” e la chiusura progressiva dei confini dei paesi che gravitavano nell’orbita del blocco sovietico destavano forte preoccupazione, anche per il modo violento e spietato con il quale l’evoluzione democratica di quei paesi veniva soffocata. 

La Cecoslovacchia proprio ad inizio 1948 vedrà il proprio governo democratico oggetto di un colpo di Stato con conseguenze immediate per le libertà dei partiti di opposizione fra i quali il Partito Popolare cattolico, ma non solo: assistemmo anche alle incarcerazioni in tutto l’est Europa di sacerdoti, Vescovi e l’assoggettamento delle Chiese di quei paesi al controllo del potere comunista. Nello stesso 1948 è il Cardinale ungherese Mindszenty ad essere arrestato (lui che si era opposto anche al regime filo nazista delle Croci Frecciate, e per questo fu incarcerato) e negli anni successivi saranno tanti i Vescovi e addirittura i Cardinali incarcerati, uno su tutti il Cardinale polacco Wiszynski, oltre all’Arcivescovo di Praga Josef Beran e al Vescovo rumeno (di rito greco ortodosso) Slipyj.

LE ELEZIONI DEL 1948 E LA SITUAZIONE A FERRARA

Ed è in questo contesto che si apre il confronto elettorale del 1948. Solo nel febbraio del 1948 Pio XII si decise per la costituzione dei Comitati Civici organizzati e pensati da Gedda che nel giro di poche settimane diventarono operativi e capillarmente diffusi strutturandosi e sovrapponendosi per la maggior parte alle strutture locali di Azione Cattolica. Al confronto elettorale si affiancava e si sovrapponeva una vera e propria difesa della libertà dell’azione della Chiesa in Italia.

Nel poderoso volume di Mario Casella “18/4/1948 la mobilitazione delle organizzazioni cattoliche” viene descritta l’azione di ogni singolo Comitato Civico Diocesano, tra cui quello di Ferrara, organizzato prevalentemente su forze giovani ma molto motivate. A Ferrara non si pensava certo di vincere il confronto elettorale, ma era necessario fare ogni sforzo per migliorare il risultato raggiunto due anni prima per l’Assemblea costituente. 

I cattolici ferraresi erano una minoranza che agiva in un contesto piuttosto complesso e difficile e che aveva a che fare con un fronte socialcomunista con frange anticlericali e rivoluzionarie. In questo senso la testimonianza riportata nel citato volume di Casella (p. 145) proprio di una ferrarese – Giorgia Calzolari Bellucci – ricorda: «ci seguivano personalmente dall’uscio di casa, alla parrocchia, alla scuola. Ci ripetevano che, giunto il giorno della loro sicura vittoria, ci avrebbero impiccati a quello o a quel lampione»… 

Sulle intenzioni non proprio democratiche di una parte del Fronte Popolare lasciamo la parola agli studiosi. In un volume edito per i 100 anni del Partito Comunista Italiano Pietro Pons (“I comunisti italiani e gli altri”, Einaudi 2021) ricorda come il PCI fosse diviso tra chi (Togliatti) era «avverso a una deriva insurrezionale come quella avvenuta in Grecia» e coloro che «la rivoluzione la volevano subito, il PCI aveva un apparato militare clandestino di cui era responsabile Piero Secchia e questi , ancora alla vigilia del 18 aprile, nella previsione di una vittoria del Fronte socialcomunista, assicurava all’ambasciatore sovietico Kostylev, di poter conseguire il controllo della valle Padana in una settimana».

Oggi forse sembrerà incredibile, ma come ricorda Paolo Armaroli sul Sole 24ore del 2 agosto 2020, «nell’immediato dopoguerra ci voleva del coraggio per definire il bolscevismo come un regime di polizia e terrore, sinonimo (…) di tirannia di un partito sulla nazione, sulla famiglia, sull’individuo», come invece apertamente facevano i cattolici dei Comitati Civici.

Il risultato elettorale a Ferrara fu una sconfitta inevitabile e chiara, ma con un buon avanzamento rispetto alle consultazioni per la Costituente portando la DC al 28% a Ferrara e al 23% in provincia. In un’intervista del 1978 all’on. Giorgio Franceschini sulla Voce, egli ricorderà come la collaborazione con il Comitato Civico e il suo Presidente Bruno Paparella (un anno di differenza e la precedente comune collaborazione in AC giovanile) fu “di immediata sintonia” e che molto di quel risultato fu da attribuire proprio a quella collaborazione essendo la DC dell’epoca sprovvista di un radicamento territoriale paragonabile a quello offerto dal Comitato Diocesano.

Si riuscì anche a portare alla Camera il ferrarese Natale Gorini, mentre al Senato non passò Mario Dotti, nonostante il buon risultato elettorale, ma il gioco del confronto con gli altri seggi limitrofi non gli permise di entrare in Parlamento.

Nel recente incontro al “Te letterario” del marzo scorso a San Benedetto, i figli del deputato ferrarese (Giuseppe e Sandro) hanno ricordato come lo stesso Arcivescovo Bovelli fosse andato personalmente a casa loro il giorno prima della chiusura delle candidature per “invitare” l’Avv.to Natale Gorini a candidarsi per quella fondamentale tornata elettorale. Non trovandolo a casa, si sedette pazientemente nella poltrona del salotto ad attendere il suo rientro, pronto a superare ogni resistenza del futuro on. Gorini, che era fermamente deciso a non candidarsi dopo il risultato elettorale non proprio esaltante del 1946 per la Costituente.

Articolo pubblicato su “La Voce” del 14 aprile 2023

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