L’attaccamento (non feticista) alla veste sacerdotale: una scelta oggi vista come “radicale”
di Patrizia Trombetta
Recentemente ho avuto l’occasione, assieme ad altri amici della parrocchia di Sant’Agostino, di organizzare una serata sul prete don Lorenzo Milani, partendo dalla lettura di alcune sue lettere e successive testimonianze, provando ad attualizzare il suo pensiero riguardo: il mondo del lavoro, il dialogo nella Chiesa e l’esperienza all’estero per l’apprendimento delle lingue. Ma di tutto questo si può trovare sul canale youtube della parrocchia Sant’Agostino (https://www.youtube.com/@parrocchiasantagostinoferrara).
Di quella sera ci sono però due lettere che non hanno avuto né commento né testimonianza e vorrei riprenderle qui. Don Lorenzo è seminarista e le invia una alla mamma Alice (con la quale manterrà per tutta la vita quasi quotidianamente la corrispondenza) e una al babbo Albano. In entrambe il seminarista Lorenzo ha ben chiaro che prete sarà, ma poi la “pratica” lo trasformerà ulteriormente in quello che il Signore vorrà egli sia.
Lorenzo rifiuta l’università, e sceglie l’accademia d’arte, ma è una brevissima esperienza, senza futuro perché non ne ha proprio la stoffa, decide allora per altra stoffa: «Cara mamma, il sarto m’ha portato la veste e il conto. Ma ora mi accorgo che ha le maniche cortissime e gliela rimanderò però di stoffa è bellissima».
Lorenzo è affascinato dai colori dei paramenti liturgici tanto da volerli studiare e dipingere; dopo aver trovato in una cappella privata della casa in campagna un vecchio messale afferma: «la lettura del messale latino è meglio della lettura di “Sei personaggi in cerca di autore”». C’è qualcosa che lo sta lavorando dentro, tanto da rivelare a mamma Alice: «Cara mamma, prima di morire mi voglio prendere anche questa libertà di dir messa… Te vuoi dire che è troppo presto per me per sapere se seguiterò tutta la vita a volere così io ti rispondo che è di fede che nessuno può essere sicuro della propria perseveranza. Ma ciò che non possiamo sperare dalle nostre forze lo possiamo sperare dal Signore che in fondo vuole così. Ma chi ti dice che voglia così? Me lo dice la chiamata del mio vescovo e il permesso del direttore spirituale di risponderle e se non ti basta me lo dice anche questa vita e la mia convinzione la quale invece di raffreddarsi al contatto di questa vita si riscalda ogni giorno… Qui si vive di messa dal vestito che portiamo a tutti gli studi che facciamo».
La tonaca, è stata per don Lorenzo un vestito molto importante, ma non credo l’abbia portata come un feticcio, piuttosto come il “mantello di Elia”. Anche lui avrebbe avuto la possibilità di disfarsene negli anni del dopo Concilio quando tutto sembrava il contrario di ciò che era stato prima, ma non lo fece, tanto da scriverlo in una lettera: «non smetterò di portare la veste!».
«Cara mamma se ti dicono oh il suo povero figliolo non può neanche andare al cinematografo o prendere moglie o prendere il sole e deve avere delle buffissime gambe bianche… te gli devi dire: non è che non può, non vuole, non è libero di non volere?». Sempre alla mamma poco prima dell’ordinazione la sollecita: «non mi hai mandato la mia cara tonaca e neanche quella leggera, le scuole finiscono il 21 giugno e l’ordinazione è fissata definitivamente al 13 luglio». Ed è sempre la mamma custode della sua tonaca: «Ti mando la tonaca buona che ho conciato così in una bella gita con acquazzone, sarebbe meglio se tu potessi rimandarmela prima di martedì perché se prendo un’altra acquata come faccio? Mandami per piacere una spazzola da scarpe buona perché questa è ridotta a zero era di paglia e i prefetti qui in seminario seguitano a farmi osservare che ho le scarpe sudicie». Chissà quante spazzole ha dovuto consumare su a Barbiana grazie a quell’unica strada sterrata spesso bagnata e pregna il fango. Avrà ringraziato sicuramente i suoi prefetti per avergli insegnato la buona pratica della lucidatura. E a proposito di scarpe, Michele Gesualdi smonta il mito che don Lorenzo volle essere seppellito con gli scarponi da montagna, infatti quegli scarponi sono ancora custoditi a Barbiana nell’armadio di camera sua; camera peraltro blindata, unico spazio inaccessibile a Barbiana.
In tutte le foto dacché è prete indossa la tonaca, in una nel periodo a Calenzano lo si vede con uno strano cingolo di corda di canapa. «Cara mamma spero che potrai mandarmi presto la roba specialmente calzoni, oggi avevo preso tanta acqua che me li sono dovuti levare e non avevo da cambiarli per fortuna nessuno m’ha alzato la tonaca».
Al papà invece scrive: «Caro Babbo approfitto dell’occasione per parlarti del suddiaconato, è un impegno definitivo che mi prendo con Dio con me stesso e con una grande società umana, ha valore di voto cioè non ne dispensa neanche il Papa. Mi impegno alla fede al celibato all’ufficio quotidiano del breviario all’obbedienza al vescovo e al servizio della Chiesa Fiorentina».
E definitivo lo fu davvero.
In altra lettera don Lorenzo mette in luce anche la questione del Seminario e di chi ne è rettore: «il Seminario è un fatto di tutti noi, non un fatto privato del Vescovo. E non solo di noi sacerdoti, è anche un fatto di tutto il popolo cristiano che chiamiamo a contribuire al mantenimento dei seminaristi, che dovrà domani accettarli come padri e maestri, che porterà le conseguenze di un migliore o peggiore sistema educativo in Seminario».
Oggi la tonaca sta ritornando di moda, come feticcio e reliquia, appunto la tonaca, non il sacerdozio. Forse è di maniche cortissime e forse non è più di stoffa bellissima.
Essere prete o fare il prete? Oggi il prete è più in crisi di allora? Chi sono i seminaristi? Cosa viene loro insegnato? Oggi il prete raramente desidera fare il parroco, ed è una distinzione necessaria ed urgente che deve entrare anche nella nostra testa di laici. Abbiamo preti amministratori, preti eremiti, preti negli uffici, preti sui social, preti sulla strada ancora a portare statue come racconta don Lorenzo in Esperienze Pastorali. A ben leggere, come Chiesa siamo ancora fermi là!
Di che stoffa è la tonaca dei nostri preti? Leggera e scivolosa come seta, calda e aderente come lana, dura e pungente come canapa, sgualcita e accomodante come lino…?
Don Lorenzo se l’è levata solo negli ultimi mesi. Racconta Gesualdi: «un pomeriggio intorno al suo letto, c’era un gruppo di ragazzi di Barbiana, suo fratello, la mamma, l’Eda e due suore che venivano tutti i pomeriggi a pregare con lui. Ad un tratto chiese alle donne di uscire di camera e di chiudere la porta. A porta chiusa buttò via il lenzuolo che lo copriva, rimase completamente nudo nel letto. Noi eravamo smarriti. Lui guardava il soffitto della stanza. Suo fratello gli disse: “Lorenzo lo so che ti dà fastidio anche il lenzuolo, ma copriti” e gli rimise addosso il lenzuolo. Non era per niente fuori di testa, né lo faceva soffrire il peso del lenzuolo sulla pelle. Il suo atto aveva un significato preciso che non fu difficile per noi interpretare: presentarsi al suo Dio spoglio di tutto».
Pubblicato sulla “Voce” del 15 settembre 2023
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