(Foto Alessandro Berselli)

 

“Segni dei tempi, segni di speranza”: a chiusura del Sinodo e in vista del Giubileo 2025, mons. Perego presenta la sua nuova Lettera Pastorale. Pace, vita, cura e accoglienza i temi

«La speranza non delude perché offre la certezza dell’amore di Dio, che ci accompagna ogni giorno della nostra vita»: si conclude con questa frase la Lettera Pastorale 2024-2025 del nostro Arcivescovo mons. Gian Carlo Perego, dal titolo “Segni dei tempi, segni di speranza”.

Lettera che verrà presentata in Diocesi in due incontri pubblici: il primo, il 24 ottobre alle 20.30 inSeminario a Ferrara; il secondo, la sera successiva, stessa ora, nell’Oratorio di Codigoro.

«Il prossimo Anno Pastorale – scrive mons. Perego nel testo – sarà particolarmente ricco di fede, di carità e di speranza, perché cade tra la fine del Sinodo della Chiesa Universale, del cammino sinodale delle Chiese in Italia (…) e l’inizio del Giubileo, domenica 29 dicembre 2024, che si concluderà il 28 Dicembre 2025».

La Pentecoste (At 2,1-13) è l’icona biblica che ci guiderà in questo anno. Che cosa ci insegna la Pentecoste? Innanzitutto «chiede una comunità, chiede un luogo, la Chiesa. Noi troppe volte sottovalutiamo l’importanza del luogo, della Chiesa nella nostra esperienza di fede. In realtà il luogo, la Chiesa permette l’incontro, l’ascolto, il silenzio, la preghiera personale e comune, la celebrazione dei sacramenti: la Chiesa è il segno di un’appartenenza, di una comunità di riferimento.

Nell’Unità Pastorale non è più una sola Chiesa, ma più Chiese; il segno dell’appartenenza alla comunità, ma anche di una storia della comunità. Non è un caso che i regimi distruggano le chiese – ricordate l’Albania – o non permettono la loro costruzione – pensiamo alla Cina, ma anche ai Paesi guidati da fondamentalismi religiosi». 

La Pentecoste ci insegna – o ricorda – anche che lo Spirito «è imprevedibile, come diventa imprevedibile» chi ne è avvolto. Ma la presenza di Dio è anche rappresentata dal fuoco «che non brucia, ma scalda il cuore e la mente, come luce svela ciò che è nascosto, infonde passione e coraggio, così da parlare di fronte a tutti», perché «l’annuncio del Vangelo non esclude nessuno».

I poveri in particolare sono coloro che ci chiedono segni di speranza: «Il Giubileo è anche un tempo per dare speranza, soprattutto ai poveri, che sono milioni di persone che soffrono per la fame, la sete, lo sfruttamento della loro terra e di loro stessi», scrive il Vescovo. «Come cristiani che vivono il Giubileo che è libertà e liberazione, non possiamo guardare altrove e fingere di non vedere i poveri del mondo, o abituarci a loro. I poveri ci sono anche vicini: di casa, di lavoro, in parrocchia. Per i poveri vicini e lontani dobbiamo impegnarci nella carità e nella giustizia, nella condivisione delle risorse, anche della terra».

Come cristiani dobbiamo essere quindi attenti ai «segni dei tempi», quegli «eventi della vita degli uomini che obbligano a guardare la storia, la contemporaneità con gli occhi della fede e a fare scelte, a orientare la partecipazione, la responsabilità personale e collettiva, evitando semplici atteggiamenti di condanna o di difesa apologetica. Sono appelli alla ragione, alla fede, all’immaginazione». Ecco quelli indicati nella Bolla di indizione del Giubileo di Papa Francesco, Spes non confundit.

LA PACE

«Siamo in un mondo di guerre», scrive mons. Perego nella Lettera Pastorale. «Se ne contano 56: un popolo su quattro è in conflitto al suo interno o con altri Paesi. La guerra porta con sé morte, violenza, abbandono, fuga. Oltre che morti, la guerra genera profughi, rifugiati, poi ancora la corsa alle armi – sempre più crescente nel mondo, ma anche in Italia – che ha destinato 3 miliardi di euro in più ogni anno per cinque anni in armamenti. “Il segno dei tempi” sono i cristiani che, animati dalla fede in Cristo “nostra pace”, vivono la beatitudine evangelica e diventano “operatori di pace” (Mt 5,9), “artigiani di pace” (Papa Francesco), obiettori di coscienza alle armi, come lo sono stati laici cristiani come Giorgio la Pira e Igino Giordani, o non credenti come Pietro Pinna, che iniziò la sua scelta a Ferrara nel 1948, quando fu chiamato alle armi, o Aldo Capitini, o preti come don Milani,  padre Ernesto Balducci o il servo di Dio don Primo Mazzolari».

Prioritaria oggi è «l’azione diplomatica sull’uso delle armi, valorizzando e rafforzando l’Onu, che è sempre stato un obiettivo del popolarismo cristiano; esperienze di servizio civile (Caschi Bianchi) in zone di guerra con azioni nonviolente; rinuncia a tenere i propri risparmi in banche armate (il cui elenco ogni anno il parlamento dovrebbe far conoscere); la scelta di non avere armi in casa: queste sono alcune delle azioni concrete. Il Magistero della Chiesa, sulla base della prassi di non violenza di Gesù e della comunità cristiana dei primi secoli, da San Giovanni XXIII (…) fino a Papa Francesco, nella Fratelli tutti, ha dedicato pagine importanti al tema della pace».

L’APERTURA ALLA VITA E LA SUA TUTELA FIN DAL GREMBO MATERNO

«Siamo in un mondo in cui – a causa di diverse ragioni – si è perso – ricorda il Papa – “il desiderio di trasmettere la vita”, per la crescita di un individualismo che “corrode la speranza, generando una tristezza che si annida nel cuore”. La denatalità, soprattutto in Europa e non meno in Italia e nelle nostre città e nei nostri paesi del territorio ferrarese – dove l’unico Comune con un saldo positivo di nascite sui morti è Goro – è uno degli aspetti più drammatici che creano spopolamento, soprattutto delle aree interne e insicurezza per il domani. Il segno dei tempi sono le donne e gli uomini, le famiglie cristiane (e non) che si aprono alla vita, a una maternità e paternità responsabile, anche con fatica e sacrifici. Segni e luoghi di speranza sono i Centri di Aiuto alla Vita (penso in particolare a quelli di Ferrara e di Copparo), che con il loro impegno ecclesiale, culturale e sociale hanno aiutato molte donne a far nascere il loro bambino. Segni di speranza sono le risorse che alcuni Paesi e comunità investono nelle politiche familiari e per le giovani coppie per favorire la casa, l’accesso alle cure, l’educazione scolastica». 

«La Chiesa non può non collaborare con la società civile, perché questo segno di speranza cresca e rinnovi la vita delle famiglie, attraverso un’azione culturale e sociale diffusa, soprattutto nei confronti dei giovani, ma con nuovi gesti e azioni a sostegno della vita. A questo proposito la “Giornata per la Vita”, che negli ultimi anni è stata forse trascurata nelle nostre parrocchie, con le proposte che vengono dal Messaggio annuale di Vescovi italiani e il Convegno nella nostra Chiesa organizzato dall’Ufficio Famiglia, con “Scienza&Vita” e i Centri Aiuto alla Vita, chiede di essere valorizzata per offrire un segno di speranza».

LA VISITA E IL PERDONO AI DETENUTI

«Assistiamo oggi a un ritorno di un clima di vendetta per chi commette un reato, di rifiuto di ogni aiuto e percorso alternativo nei confronti dei detenuti», prosegue il Vescovo nella Lettera. «È facile sentire espressioni certamente che non possono essere accettate o alimentate dai cristiani, che rimandano a “occhio per occhio” o del genere “più carceri” o “in carcere e buttiamo la chiave” o  “rimettiamo la pena di morte”, per non dire altro. Sembra che il percorso sociale, fortemente animato da uno spirito cristiano, della Legge Gozzini (1986), che sottolineava l’importanza – costituzionale – della pena come rieducazione e quindi dell’importanza di pene alternative, si stia indebolendo ed emergano il sovraffollamento, le restrizioni maggiori, l’annullamento di ogni percorso culturale e sociale con i rapidi trasferimenti. Come cristiani non possiamo non ritornare alla Legge Gozzini e all’importanza dell’alternativa di pena per molti reati, che offre speranza ai detenuti e più sicurezza ai cittadini, come dimostrano i numeri della recidiva».

«Anche “la visita ai carcerati”, seguendo il regolamento carcerario e in collaborazione con il cappellano delle carceri, unitamente a richieste per un’esperienza di volontariato, possono nascere da questo Giubileo», scrive il Vescovo per sottolineare l’importanza anche del servizio in prima persona, a stretto contatto con la persona detenuta. «Sul piano concreto, inaugureremo durante quest’anno una nuova struttura della Caritas diocesana, realizzata negli antichi ambienti della scuola materna della parrocchia dell’Arginone, destinata a progetti di alternativa di pena e per le visite dei familiari ai detenuti. La Casa Circondariale dell’Arginone oggi conta oltre 350 persone recluse, con l’intenzione di aumentarne il numero con un nuovo padiglione che, purtroppo, ruberà spazio verde sia alla struttura sia ai carcerati. Speriamo che l’impegno dei politici e amministratori, ma anche la voce della comunità cristiana, annullino questa intenzione. Come speriamo che non siano annientati i tentativi in essere per favorire l’alternativa di pena, lo studio in carcere (anche la frequenza ai corsi universitari), il lavoro dentro e fuori le mura dell’Arginone. Per dare un segno forte, la chiesa della Casa Circondariale sarà una delle chiese giubilari».

I MALATI

«L’indebolimento della cura dei malati; la loro solitudine o la solitudine di chi li cura; la mancanza di personale medico e paramedico», scrive mons. Perego tra i problemi di quest’ambito. E ancora: «i drammatici episodi di abbandono e di violenza fino all’uccisione di malati in casa, nelle case di cura, ma anche gli atti di disperazione violenta contro i medici e infermieri negli Ospedali». Il cristianesimo «ha inventato i luoghi di cura – gli ospedali in primis. Anche nella nostra città il primo Ospedale è stato voluto dal Vescovo di Ferrara oggi Beato, Giovanni Tavelli da Tossignano, nel 1445. Come cristiani siamo chiamati – seguendo un’altra opera di misericordia – a visitare e curare gli ammalati. La visita a un malato diventa una testimonianza di affetto e alle persone, un gesto di fraternità. La cura chiede ai cristiani di vivere la scelta della professione infermieristica e medica come una missione nei confronti dei malati. Oggi abbiamo una capacità di diagnosi straordinaria, non ugualmente abbiamo la stessa capacità di cura. Dobbiamo non far mancare risorse pubbliche e personali alla cura dei malati e delle diverse forme di disabilità, ma anche l’accompagnamento spirituale, perché ogni malato, liberamente, abbia una serenità interiore, scoprendo anche il significato salvifico della sua malattia». E cita la testimonianza di Laura Vincenzi, di cui è iniziato e sta per concludersi il percorso diocesano verso la canonizzazione». Infine, un accenno all’importanza dell’annuale Giornata del Malato in programma l’11 febbraio (memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes). 

I GIOVANI

Riscontriamo poi «la sfiducia nei giovani e dei giovani, la crescita dei Neet, cioè di quelli che né studiano né lavorano, la scarsa partecipazione alla vita sociale e politica, la scelta di lasciare il Paese. Disincantati e meno sognatori, perché vedono infrangere i loro sogni contro la realtà: nessuno sbocco lavorativo o precario. Giovani che ancora scelgono la droga, la trasgressione o l’effimero e che non si possono abbandonare a sé stessi. Non mancano però, anche nella Chiesa, quelli che vivono esperienze di servizio, di solidarietà, uniscono studio e lavoro nella fatica quotidiana, partecipano alla vita ecclesiale come educatori e scelgono la partecipazione con interesse alla vita sociale e politica. È bello vederli nelle nostre comunità cristiane attivi nel coro, nella educazione dei bambini, nei campiscuola, nelle Giornate Mondiali della Gioventù. È bello vederli scegliere il servizio civile, esperienze di volontariato anche internazionale, frequentare le “Dieci Parole” per formarsi, incamminarsi sulla strada di una scelta vocazionale religiosa o sacerdotale o alla vita familiare. È bello vederli attivi, anche tra noi, in nuove comunità di giovani, come la Shalom in S. Giorgio a Ferrara, al servizio di altri giovani. I giovani – studenti, fidanzati, lavoratori – sono un segno di speranza che meritano la cura delle nostre comunità».

I MIGRANTI, GLI ESULI, PROFUGHI E RIFUGIATI

«I migranti sono i lavoratori, le famiglie, gli studenti che hanno lasciato la loro terra per una vita migliore», sono parole di mons. Perego nel testo. «Oggi sono 2 milioni e mezzo di lavoratori, quasi lo stesso numero di famiglie, un milione di studenti nelle scuole dell’obbligo e nelle Università. Molte sono donne e oltre un milione di loro curano le nostre donne.  Li incontriamo in chiesa, in piazza, nei negozi, nei luoghi del tempo libero, sul lavoro, a scuola. Mezzo milione sono diventati imprenditori, artigiani. Molte nuove famiglie sono miste e molti bambini – ormai più del 25% – sono i nuovi nati da famiglie di immigrati o miste. I migranti sono un segno di vita, sono un segno di speranza per le nostre città che rischiano di morire. E facilitare la loro partecipazione alla vita politica, sociale e culturale anche attraverso un percorso diverso per la cittadinanza, sarebbe un segno di intelligenza. Sono segni di speranza i gesti e i progetti di accoglienza anche nelle nostre Chiese, segni di una cultura dell’incontro che va contro la cultura dello scarto e del rifiuto, ancora troppo presente e troppo alimentata da certa politica e comunicazione».

«Le nostre comunità, la Caritas diocesana – prosegue la Lettera -, hanno regalato bei segni di accoglienza in questi anni. Occorre che questi segni facciano cultura e diano speranza a noi e ai migranti, non restando momenti occasionali, ma segni a cui far seguire, la tutela, la promozione e percorsi di integrazione che riguardano non solo chi viene accolto, ma anche chi accoglie».

GLI ANZIANI

Infine, ma non meno importante, la situazione degli anziani, «soprattutto soli», che «si fa sempre più difficile nelle città, dove anche assistiamo ormai a diversi casi di persone morte in solitudine. La crescita dell’invecchiamento delle nostre città e paesi – Ferrara ha più pensionati che lavoratori – diventa un’ipoteca sul futuro della città, anche in termini di servizi, di cura. Eppure, anche gli anziani sono un segno di speranza, perché ci consegnano la memoria di una vita di studio, di lavoro, di sofferenze, ma anche di sogni realizzati». 

ECUMENISMO, UNA PROVVIDENZIALE COINCIDENZA

Un pensiero non poteva non andare al tema dell’unità dei cristiani: «per una provvidenziale coincidenza», scrive mons. Perego, nel 2025 Pasqua «cadrà per tutti i cristiani nello stesso giorno: il 20 aprile. Il Papa si augura che questa coincidenza, che cade nell’Anno Giubilare, possa essere “un invito generale a compiere un passo decisivo verso l’unità, stabilendo un appuntamento comune per la solennità”. Sappiamo che viviamo tempi non facili per l’ecumenismo, messo a dura prova anche dalla guerra in Ucraina. La Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani del 2025 sia occasione di preghiera comune per “sognare” questo gesto di unità tra le Chiese».

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Le Chiese Giubilari nella nostra Diocesi

«Le Chiese Giubilari, i Santuari Mariani della nostra Arcidiocesi saranno luoghi di speranza», è scritto nella Lettera. «Il Giubileo ci aiuta a valorizzare questi luoghi, che potranno diventare familiari». Due Chiese Giubilari saranno luoghi di visita e di pellegrinaggio: la Cattedrale di Ferrara e la chiesa di Santa Maria in Vado/Santuario del Miracolo Eucaristico a Ferrara. In entrambe le Chiese Giubilari sanno disponibili quotidianamente i Ministri della Riconciliazione.

Diciotto saranno invece le Chiese Giubilari luoghi di pia visita: Concattedrale di Comacchio, Santuario di S. Maria in Aula Regia a Comacchio, Santuario del Cuore Immacolato di Maria alla S. Famiglia – Ferrara, Santuario del Crocifisso di S. Luca – Ferrara, S. Francesco, basilica minore – Ferrara, Santuario della Beata Vergine del Poggetto a S. Egidio, Chiesa parrocchiale di Copparo. In queste Chiese saranno disponibili quotidianamente. Le altre Chiese Giubilari luoghi di pia visita sono: Santuario della Beata Vergine della Pioppa a Ospitale di Bondeno, Santuario della Beata Vergine delle Grazie a Denore, Santuario della Madonna della Galvani a Berra, Santuario della Madonna della Corba a Masa Fiscaglia, Santuario della Madonna del Lume e della Pace a Cesta, Chiesa di S. Leo a Voghenza, Chiesa del Monastero S. Teresa trasverberata – Ferrara, Chiesa del monastero di S. Antonio in Polesine – Ferrara, Chiesa del Monastero del Corpus Domini – Ferrara, Cappella della Casa Circondariale di Ferrara, Cappella dell’Ospedale a Cona.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 25 ottobre 2024

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