La teologa e biblista ferrarese Silvia Zanconato ci spiega l’importanza di un’ermeneutica femminista del testo biblico

di Silvia Zanconato

Per molto tempo Marinella Perroni ha continuato a chiedermelo, con la sua consueta tenacia affettuosa. E io, che ho sempre diffidato delle appartenenze troppo nette, ho resistito a lungo al Coordinamento Teologhe Italiane (CTI – www.teologhe.org). Pensavo anche – con una certa ingenuità – che le questioni di genere fossero ormai superate: importanti, certo, ma non più urgenti. Poi, come spesso accade alle bibliste e alle teologhe, è arrivato anche per me l’invito a parlare delle “donne nella Bibbia”. E così ho cominciato a studiare con più attenzione e soprattutto ad ascoltare il lavoro di chi, prima di me, aveva già aperto la strada. Non senza rammarico, ho dovuto riconoscere che nel mio percorso di formazione non avevo mai incontrato quelle esegete – studiose di primissimo ordine – il cui contributo oggi mi appare imprescindibile, ma il ritardo nella scoperta ha reso ancora più prezioso l’incontro. È stato come imparare a leggere di nuovo. 

Seguendo il percorso aperto da chi, con coraggio, ha cominciato a interrogare criticamente i testi biblici, ho compreso che la posta in gioco non è affatto superata e non è solo accademica. È, a tutti gli effetti, anche politica. Perché la Scrittura – e il modo in cui viene interpretata e trasmessa – ha avuto, e continua ad avere, un peso reale nel plasmare visioni del mondo, immaginari collettivi, ruoli sociali. Inclusi, naturalmente, quelli attribuiti a maschi e femmine. L’ermeneutica biblica femminista è diventata dunque per me – ma sono in ottima compagnia – uno strumento di studio e di coscienza, un atto di giustizia verso i testi e verso le vite che li attraversano e sicuramente un modo per abitare non solo più intensamente i racconti biblici, ma tutto ciò che da essi scaturisce. 

Le donne, naturalmente, nella Bibbia ci sono – e in quantità. Alcune chiamate per nome, altre persino protagoniste (in ruoli talvolta positivi, altre volte ambigui), moltissime anonime o appena accennate, comparse fugaci sullo sfondo di storie più grandi. Ma osservare con attenzione il modo in cui sono state rappresentate, interpretate e trasmesse apre a questioni di grande portata poiché le storie che si raccontano – e il modo in cui si sceglie di raccontarle – contribuiscono a dare forma alla vita: la organizzano, le attribuiscono significato. Le narrazioni bibliche, in particolare, sono strumenti potenti di definizione collettiva: offrono simboli, tracciano ruoli, disegnano confini. Ed è per questo che l’ermeneutica femminista non si limita a leggere le donne e gli uomini nei testi, ma interroga i meccanismi storico-narrativi, le parole e i silenzi, le eventuali deformazioni. Entrare nella Bibbia con questa prospettiva significa assumere uno sguardo critico e responsabile, attento ai linguaggi, nella consapevolezza che il dialogo tra Dio e l’umanità si è espresso – e continua a esprimersi – dentro la storia e le storie, nelle culture e nelle parzialità. È un lavoro critico, certo, ma anche profondamente spirituale, per chi crede nella forza trasformativa della Bibbia. Un lavoro che, mentre riconosce e valorizza le cornici culturali in cui la parola di Dio ha preso forma, contemporaneamente si assume la responsabilità del presente impegnandosi per relazioni più giuste, dove le differenze – comprese quelle sessuali – non diventino pretesto per la sopraffazione, né strumento di potere giustificato dalle Scritture.

Marinella, dunque, ha vinto e mi ha convinto. E quando, anni fa, mi sono associata al Coordinamento Teologhe Italiane, ho davvero trovato una comunità di pensiero e di ricerca: uno spazio intellettuale plurale, ecumenico, rispettoso delle differenze, attento alla laicità e alla varietà delle appartenenze religiose. Un luogo in cui si coltiva l’ascolto dell’esperienza delle donne concrete, in cui la riflessione nasce e prende forza dal dialogo e dalle fatiche del confronto tra storie, generazioni, tradizioni e saperi. Un luogo che oggi sente sempre più l’urgenza di confrontarsi con la complessità della contemporaneità, contribuendo alla costruzione di un sapere teologico e biblico pubblico, in cui anche le questioni di genere – cruciali nell’odierno dibattito ecclesiale – trovino analisi e strumenti per non essere eluse. 

Con questo incarico nel Consiglio di Presidenza del CTI vivo un impegno caratterizzato dalla gratitudine verso le mie “maestre” e da senso di responsabilità. Ci sono, infatti, molte giovani studiose – competenti, curiose, tenaci – che si avvicinano alla ricerca teologica e biblica con rigore e desiderio autentico di approfondimento. Accompagnarle, sostenerle, creare spazi dove il loro pensiero possa trovare voce e ascolto, contribuendo a rendere meno tortuoso il loro incontro con le tradizioni bibliche e teologiche delle donne – che ancora faticano a circolare pienamente, ostacolate da resistenze talvolta inconsapevoli, talvolta più strutturate: questo è, per me, parte essenziale del lavoro dentro e con il Coordinamento.

Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” dell’11 aprile 2025

 

(Foto: Silvia Zanconato; il nuovo Consiglio del Coordinamento Teologhe Italiane)

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