Luca Andreoli (Ferrara Terzo Mondo) è tornato ad Addis Abeba dai suoi piccoli e da alcuni adulti per dar loro una vita un po’ più dignitosa. Questa volta è stato accompagnato da Michele Luciani della nostra Caritas Diocesana
di Luca Andreoli
Da quando ho visto il pluripremiato film di Jonathan Glazer “La zona di interesse” dove si racconta della vita della famiglia di Rudolf Hoss, serena e piena di affetti, malgrado si svolgesse accanto al campo di sterminio nazista di Auschwitz di cui era il feroce comandante, mi è sembrato evidente un suo significato per i nostri tempi. Addirittura perfettamente sovrapponibile a quello che, ovviamente, ci ha fatto così tanto emozionare avvenuto circa 80 anni fa. I visi freschi, innocenti e beati dei 5 figli di Hoss, i sorrisi tra i genitori che ci offrivano uno specchio della loro concordia coniugale a noi sembravano un orrore sapendo che a pochi metri si svolgeva il più grande crimine contro l’umanità mai commesso.
Com’è possibile che la loro quiete non potesse confliggere con la consapevolezza che esseri umani come loro stavano soffrendo un calvario di umiliazioni e poi la morte violenta? Eppure è avvenuto; non si è trattato di un film immaginario, di una finzione creata da un abile sceneggiatore. Ho poi visto su Sky un documentario (da cui il film è stato tratto) in cui non c’erano attori che recitavano ma la vera famiglia di questo criminale nazista, nato, dobbiamo ricordare, in una fervente famiglia cattolica, che trascorreva beatamente i momenti della quotidianità in gioiose apparizioni davanti alla macchina da presa.
Ritornando, all’inizio dell’anno, in Addis Abeba ho avuto la sconcertante sensazione di essere lo spettatore che va a guardare un film di povertà e miseria, ben protetto da uno status invidiabile di bianco, europeo e, volente o nolente, di ben pasciuto borghese in pensione! Lo sappiamo tutti: quando, anche in Italia, capita un disastro a causa di terremoti o di altri tremendi avvenimenti, si crea un turismo delle disgrazie e del dolore che è un misto di curiosità e di sospiri di sollievo per non essere parte di quelle popolazioni colpite. Ma dove la solidarietà concreta è molto spesso assente.
Comunque, tentando di scrollarmi di dosso dubbi e nebbie, sono arrivato ancora una volta in questa capitale etiope, in via di profonda ristrutturazione urbanistica, però con una speranza maggiore confronto agli anni scorsi. Per la prima volta mi avrebbe raggiunto un’altra persona – Michele Luciani, operatore della nostra Caritas diocesana – per una permanenza operativa di una settimana. Dallo scorso aprile, infatti, avendo iniziato a collaborare con loro nella raccolta cibo dai supermercati, ho spiegato le attività dell’Associazione Ferrara Terzo Mondo sia a Ferrara, attraverso il Mercatino dell’Usato di Solidarietà, sia nei progetti di adozione a distanza di famiglie in estrema povertà e bisogno negli slums di Addis Abeba. Subito, ad una mia prima richiesta di fare una breve esperienza africana con me, Michele mi ha dato la sua disponibilità che ora si sta traducendo in una collaborazione piena e continuativa, cancellando i miei cupi pensieri sulla continuità futura di questo progetto.
Assieme al nostro referente in Addis Abeba, abbiamo visitato molte famiglie adottate, comprese tre nuove, e soprattutto abbiamo fatto una festa insieme al gruppo dei bambini di strada che ora hanno 3 piccole abitazioni in un cortile dove possono meglio dormire al caldo e vivere in comunità per far fronte alle esigenze alimentari e alle difficoltà e ai pericoli di una vita durissima. Si tratta di 12 giovani dai 6 ai 14 anni con 3 adulti: 2 mamme di 2 bambini e un padre di una bambina. In totale 15 a cui si paga una retta mensile, l’affitto delle abitazioni, le spese per gli oggetti di cucina e per un modesto arredamento e le eventuali spese mediche. In futuro sicuramente compreremo una TV e stiamo organizzando una piccola scuola per aiutarli ad imparare a leggere e a scrivere correttamente. Per le altre famiglie, per un totale di circa 100 persone, continuiamo l’assistenza con un mensile e anche quest’anno siamo riusciti a venire incontro a molte altre loro esigenze di varia natura.
Il nostro sostegno, ovviamente, è un primo ed essenziale aiuto per poter sopravvivere e diventare da persone in miseria a persone povere, ma con la sicurezza che non saranno sole ad affrontare tutte le loro enormi esigenze, tra le quali diventa determinante l’aiuto per pagare la retta e altro per la scuola dei figli. È un appoggio per poter farli uscire dalla loro “zona di interesse” (nel linguaggio burocratico i nazisti chiamavano così il territorio occupato dai lager di sterminio) e farli diventare umani. Per Michele, ma anche per me – sebbene non sia stata la prima volta -, uscire dalla nostra modesta guest house ed entrare in questi gironi (con la crescente gentrificazione del centro della città, spostati sempre più nelle lontane periferie senza alcun tipo di servizi) ha rappresentato entrare in un mondo subumano che ci ha fatto incontrare i nostri assistiti sorridenti ma con migliaia di altri a cui non potevamo promettere nulla!
In lui e in me sorgeva per ogni incontro un tremendo interrogativo: ma come fanno a vivere in queste condizioni? Perché aumentano sempre più? Il nostro è veramente solo un poco di sole nel freddissimo loro inverno? Troppe volte non riuscivamo a parlare perché troppo grande era il nostro desiderio di essere utili per loro ma, grazie a Dio, questo nostro atteggiamento si trasformava in una specie di pessimismo attivo che ci spingeva positivamente in un impegno di un più accentuato volontarismo etico che potesse dare a noi un significato importante a quel che rimane della nostra vita quaggiù.
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 21 marzo 2025