Alimentazione, promozione e protezione della salute sono interconnesse. Serve quindi una bioetica ambientale che metta in agenda un’ecologia umana, configurando un “diritto all’ambiente” come diritto umano essenziale
di don Augusto Chendi*
Da pochi giorni, e precisamente il 16 ottobre scorso, si è celebrata la Giornata Mondiale dell’Alimentazione, che annualmente richiama l’attenzione sul tema della sicurezza alimentare e della lotta contro la fame. Una ricorrenza che, nella marea di celebrazioni che si susseguono ormai quasi quotidianamente, lascia forse insensibili e assuefatti di fronte a problemi che, invece, dovrebbero trovare maggiore e più qualificato spazio nel dibattito culturale odierno.
Non si tratta di ritornare su stime e numeri che impietosamente da decenni ormai attestano l’incidenza della fame nel mondo, e non solo in Paesi a basso reddito, ma anche nelle società più ricche, ivi compreso il nostro Paese, per molte famiglie del quale – si pensi all’età scolare di molti bambini e ragazzi – non si riesce a soddisfare la necessità e il diritto del “pane quotidiano”. Si tratta, invece, di rendersi attenti a questioni che incidono profondamente sul vissuto dell’intero pianeta e che necessitano di adeguate scelte nutrite da un orizzonte di senso e di valori imprescindibili.
DUE PIAGHE: CRISI CLIMATICA E SPRECO
È comunque un dato indiscusso che, a motivo della crisi climatica in atto, i Paesi più poveri soffrono maggiormente poiché nelle zone tropicali tali impatti sono più rapidi e intensi e le capacità di adattamento al cambiamento climatico sono nettamente inferiori rispetto a quelle dei Paesi ad economie avanzate. Non sorprende, pertanto, che l’Africa sia la regione più minacciata dalle conseguenze della crisi climatica. Più vicino a noi, quanto sta accadendo, in seguito all’aggressione della Russia in Ucraina, mostra come il legame tra crisi climatica, insicurezza alimentare e scarsa sostenibilità dei sistemi alimentari assuma sempre più una connotazione geopolitica.
A questo quadro preoccupante si deve aggiungere che, secondo le stime, circa un terzo degli alimenti prodotti a livello globale viene sprecato ogni anno nella filiera alimentare. In un mondo in cui oltre settecento milioni di persone continuano a soffrire la fame, gli sprechi alimentari rappresentano, pertanto, oltre che una perdita di risorse naturali ed energetiche, quello che potrebbe essere definito un “oltraggio etico”.
E questo, a fronte del diritto di ogni persona all’alimentazione; diritto inteso in modo convergente sia nella relazione tra alimentazione, promozione e protezione della salute, sia nell’accesso materiale ed effettivo della popolazione, in ogni tempo, ad un cibo sufficiente, sano e nutriente per mantenere una vita in salute e attiva. Ciò comporta riflessioni legate a temi di più ampio respiro, come la cosiddetta “questione alimentare globale” e l’accessibilità ad un cibo sano e adeguato a livello quantitativo e qualitativo per le generazioni presenti e future.
SOLIDARIETÀ E GIUSTIZIA NELLA CURA DELL’AMBIENTE
Accertato che l’uomo è responsabile, quasi integralmente, delle “condizioni di salute” dell’ambiente e della biosfera, la discussione bioetica non può che riconoscere che l’uomo stesso, oltre a rilasciare la propria impronta negativa sul pianeta, è anche in grado di cercare le necessarie soluzioni ai problemi del pianeta, da custodire come un dono ricevuto, da conservare e da affidare alle nuove generazioni.
La solidarietà e la giustizia nella cura dell’ambiente, pertanto, dovrebbero essere i valori-guida di riferimento di tutti gli amministratori e di tutti i cittadini dei tempi globalizzati e postmoderni, la responsabilità prima dei quali è proprio quella di custodire la terra, intesa quale casa da abitare degnamente, della quale fruire, piuttosto che da usare e saccheggiare. In questo senso, lo “sviluppo sostenibile” deve essere letto ed attuato come parallelo effetto di uno sviluppo integrale della persona umana, comprese le sue dimensioni fisiche, alimentari, oltre che psicologiche, sociali, culturali e spirituali-morali.
Secondo questi parametri si configura una bioetica ambientale che mette in agenda un’ecologia umana, che abbia al centro la riflessione sulla dimensione etico-antropologica degli scambi con la biosfera: il futuro delle generazioni che verranno, e che hanno un qualche “diritto” a fruire di un ambiente sano, dipenderà da come oggi gli uomini, le comunità e le nazioni sceglieranno liberamente di affrontare insieme questi problemi.
Di fatto il tema della sostenibilità è ormai preoccupazione comune, segno della raggiunta consapevolezza della limitatezza delle risorse, che d’altronde alcuni periodi di crisi hanno fatto dolorosamente percepire. La sostenibilità come idea regolativa generale è finalmente un tema di etica pubblica, che lambisce anche la teoria economica quando il giudizio sul benessere include non solo la produttività, ma la qualità dell’ambiente.
L’etica ambientale ha ottenuto adeguato riconoscimento quale settore essenziale della bioetica e s’intreccia con i temi della “qualità della vita” e del diritto alla salute. Essa determina, pertanto, la configurazione di un “diritto all’ambiente” quale diritto umano essenziale, nonché la ferma condanna etica di ogni azione di distruzione delle risorse; in questo ambito rientrano i concetti di giustizia e condanna di ogni forma di prevaricazione da parte dei Paesi ricchi su quelli a basso o bassissimo reddito. Ma anche la ridefinizione del dovere a preservare e conservare la natura, non solo nell’accezione antropocentrica, ma nel più ampio ed impegnativo senso di responsabilità verso ogni forma di vita, biologica compresa, e di solidarietà intergenerazionale.
I RISCHI DELLA GREEN ECONOMY
Il modello dello «sviluppo sostenibile», definito come lo sviluppo che deve soddisfare i bisogni delle generazioni presenti senza compromettere la capacità di quelle future di rispondere ai loro, e che in tal modo mette in discussione l’idea della crescita illimitata, è attualmente molto abusato, ma spesso anche vuoto di contenuto concreto. L’esigenza, diffusamente avvertita, di includere tali direttive nelle legislazioni nazionali e internazionali al fine di renderle operative, attesta comunque la difficoltà a conciliare con le politiche economiche dei singoli Paesi una prospettiva di sviluppo inclusiva di tre dimensioni considerate di pari dignità: quella ambientale, quella sociale e quella economica.
In questo contesto, la cosiddetta “green economy” è nata e si è ormai prepotentemente imposta non solo per favorire lo sviluppo di energie pulite e la tracciabilità ecologica nelle filiere produttive dei Paesi sviluppati, lasciando intravedere una promettente occasione di produzione di ricchezza, ma anche per individuare un percorso che armonizzi sviluppo sostenibile e lotta alla povertà. L’economia verde intende essere proprio uno strumento per il miglioramento del benessere e dell’equità, a patto che si reinvesta nel capitale naturale, invece di depauperarlo, prospettando un modello di governance globale, che integri sviluppo sociale, ambientale ed economico, puntando soprattutto agli investimenti in energie pulite. Naturalmente il timore – in molti casi divenuto una triste costatazione di fatto – risiede nel fatto che anche la green economy si trasformi in un semplice business.
PER UNA NUOVA E INCISIVA CULTURA
La consapevolezza della responsabilità che l’umanità nutre nella gestione del pianeta nasce senz’altro da timori per la salute e, forse in modo più incisivo, dal rischio di dover ridimensionare il proprio benessere materiale, piuttosto che dalla convinzione che la natura abbia un valore intrinseco.
Approfondire la fitta trama dei diversi e complessi temi sopra accennati necessita, pertanto, da parte di tutti di adottare una prospettiva multidisciplinare, e tutto ciò attraverso un approccio etico, volto a mostrare come le diverse sfide della interconnessione fra ambiente, alimentazione e sviluppo sostenibile richiedano tanto una conoscenza dei problemi quanto un diverso modo di intendere il nostro ruolo e la nostra azione sul pianeta. Quel che si richiede, in definitiva, è un mutamento del modo di pensare e della cultura, tale da incidere sull’organizzazione complessiva delle società e del loro sistema di valori.
* Direttore Ufficio diocesano per la Pastorale della Salute
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 1° novembre 2024
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