Da Comacchio la storia dell’eroico combattente morto a 21 anni per salvare un compagno
di Pieraldo Ghirardelli
Il prossimo 5 maggio presso la Sala Polivalente di Palazzo Bellini a Comacchio, verrà presentato il libro “La Brigata Ombra. Antifascismo e resistenza a Comacchio e nelle sue valli” di Delfina Tromboni e Dante Giordano. L’opera è il risultato di una serie di interviste risalenti alla fine degli anni ’80, alle quali si sono aggiunte le informazioni d’archivio. All’evento presenzierà la prof.ssa Anna Maria Quarzi, presidente dell’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara. Sarà un momento per recuperare le pagine della memoria della Resistenza del basso ferrarese e riscoprire le storie di coloro che hanno creduto nella causa della guerra di Liberazione.
Tra i volti delle tante e tanti, c’è quello di un giovane di Comacchio, un ragazzone alto, forte, pieno di vita, deciso e volitivo, il cui nome di battaglia era “Lupo”, alias Vincenzino Folegatti. Non aveva neanche 20 anni quando l’8 settembre del ’43, mentre prestava servizio imbarcato a La Spezia, venne proclamato l’Armistizio. Il suo comandante diede l’ordine di autoaffondamento e mise in libertà l’equipaggio. Rientrato a Comacchio a novembre, si diede subito alla clandestinità. Per sfuggire alla chiamata alle armi, si riparò tra i dossi e gli argini sperduti negli specchi d’acqua delle valli, che da lì sarebbero divenute il suo rifugio e il suo campo di battaglia.
Nel 1944 aderì alla formazione partigiana di San Biagio/Filo d’Argenta, comandata da Antonio Meluschi, “Il Dottore”, che nelle sue memorie racconta di come i barcaioli comacchiesi furono l’«indispensabile forza motrice per i movimenti nella Valle». Mai la pioggia, la neve, la fame li arrestarono. Vincenzino era al comando del battaglione delle barche e attraversava le linee guidando partigiani e truppe alleate come se le valli fossero state la sua «stanza di guardia valliva». Mentre partecipava a tutte le azioni delle Compagnie «sotto il fuoco nemico restava fermo ai remi o al paradello spingendo la barca verso gli assalitori».
Una volta, per un’incursione ad un magazzino di scarpe vicino ad Ostellato, vennero calate in acqua una trentina di barche. Al tramonto 60 uomini partirono nell’oscurità della fitta nebbia, mentre «si udiva soltanto lo sciabordio dei remi e il plaf-plaf dei paradelli che bucavano l’acqua. La lunga fila delle barche restava annodata dalla imitazione dei gridi rauchi dei colangeli, dei fischioni, dei pazzetti e delle anatre, che faceva “Gigetto” cui rispondeva Vincenzino». Caricate le casse di scarpe, le barche si appesantirono al punto di essere al pelo dell’acqua. Al nascere dell’alba, emerse il rombo delle motobarche tedesche al loro inseguimento. Il manipolo di partigiani si schierò sullo “Specchio” (così si chiamava quell’isoletta) dove «nascosti tra l’erba alta, tagliente, bagnata, aspettavano l’ordine di far fuoco». Seguì una violente sparatoria terminata con le braccia alzate dei tedeschi.
Nel dicembre del ’44, quando il fronte si stabilizzò tra il fiume Senio e il basso Reno, Vincenzino assieme ad altri comacchiesi si unì alle 28° brigata “M. Gordini” di Ravenna, agli ordini di Arrigo Boldrini, “Bulow”. Quei mesi lo videro attivissimo, collaborando con il servizio di spionaggio inglese, contribuendo al salvataggio di piloti alleati e di civili ricercati. In totale partecipò a 105 azioni di guerra, tra le quali l’operazione “Torre di Primaro” e le operazioni alleate “Roast” e “Fry”, per l’avanzamento del fronte verso nord. La notte del 4 aprile 1945 Vincenzino e i suoi compagni erano alla testa di 150 uomini, imbarcati per occupare Casa Agosta, Casa delle Fosse e Casa Bingotta, isole diventate l’ultimo avamposto per le missioni esplorative e di combattimento.
Il 18 aprile “Lupo” sta guidando una pattuglia in un’azione per saggiare le difese tedesche attorno a Comacchio. In località Valle Paviero, presso il Casone Bingotta, nel tentativo di soccorrere un compagno ferito, Vincenzino rimane ucciso per lo scoppio di una mina. Tre giorni dopo, il 21 aprile 1945, Comacchio e Porto Garibaldi verranno liberate, come nei giorni successivi il resto del nord d’Italia.
La storia di Vincenzino finisce lì. La sua vitale lotta di liberazione rimane rinchiusa negli eventi nefasti e nelle tante morti della grande parentesi storica della Seconda Guerra Mondiale. Si potrebbe pensare con rammarico che per quel giovane non ci siano stati i festeggiamenti e l’impresa di ricostruzione democratica. Invece Vincenzino è sopravvissuto alla guerra ed è rimasto vivo per ogni giorno a seguire della storia dell’Italia repubblicana. L’esperienza della Resistenza non si è conclusa in quel tempo, ma ritrova ogni giorno un significato nella trasmissione della sua memoria e di quei valori che l’hanno animata, nel perpetuare la vita di Vincenzino. Così come è stato per un suo nipote, che di lui erediterà il nome e gli ideali: un altro Vincenzino Folegatti, impegnato come presidente della sezione comacchiese dell’A.N.P.I. dal 2001 al 2022, nonché membro del Consiglio Nazionale dal 2001 al 2011. Dopo decenni dedicati a proseguire l’operato dello zio, con iniziative pubbliche che hanno visto coinvolti in primis gli studenti, esprime questa sua valutazione: «La cosa che mi piace ricordare è che quegli uomini e donne, speravano in un’Italia migliore, parlavano sempre con il “noi” e non con “io”, pensando per l’utilità della comunità e non del tornaconto personale». Parole che solo vivendole non renderanno mai vano ogni sacrificio e restituiranno il senso di quella che è stata, ed è, la Resistenza.
Pubblicato sulla “Voce di Ferrara-Comacchio” del 18 aprile 2025
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