L’Editoriale della “Voce” del 13 settembre 2024

di Andrea Musacci

Chissà perché ancora ci stupiamo che delitti efferati, come quello di Paderno Dugnano, possano accadere in località tranquille, in questo caso dell’hinterland milanese. Come se la cronaca – e la letteratura – non ci avessero mai raccontato di come il male – soprattutto quello assurdo (ma, ontologicamente, vi può essere “logicità” nel male?) – non ha residenza esclusiva in categorie sociologiche di comodo (il “mondo della delinquenza”, il “degrado”).

Lorenzo 12 anni, Daniela 48, Fabio 51. Un ragazzino e i suoi genitori. Morti assieme, a pochi minuti di distanza l’uno dall’altro, per mano di Riccardo, 17 anni, fratello e figlio, carne della loro carne. In tutto, 68 le coltellate inferte, delle quali 39 al fratellino. Un omicidio che in parte ricorda quello di Pontelangorino del gennaio 2017.

NON SOLO CRONACA

Iniziamo col dire che non servono – o non bastano – analisi sociologiche o psicologiche. Anche in questo caso, ne abbiamo sentiti troppi di discorsi che trattano la questione del male “senza movente” – come si dice nel linguaggio giuridico – come se si trattasse di vivisezionare freddamente un corpo, un “oggetto”, qualcosa quindi che ci non riguarda davvero.

Ciò che serve, ora, è solo la fede in Colui che – unico – dal male può liberarci. E laddove può essere difficile credere, è perlomeno necessaria una ragione affacciata sul Mistero, per non fare un discorso al ribasso, facile, davanti a fatti di cronaca come questo. Che non sono solo di cronaca.

«Mi sentivo un corpo estraneo alla famiglia, sentivo un disagio e ho pensato che eliminandoli tutti mi sarei liberato anch’io: un minuto dopo ho capito che non era così», ha provato a spiegare Riccardo a chi lo ha interrogato. Con un unico gesto ha reciso – o meglio, si è illuso di recidere – i legami primari: quello col materno, quello col paterno, quello col fratello. E quello con la collettività: con le amicizie e con gli altri fili che in qualche modo lo tenevano legato agli altri.

L’ABISSO CHE CI ABITA

Quel che ora possiamo fare è innanzitutto prendere sul serio l’abisso di quel ragazzo. Abisso che in lui chissà da quando era presente, sempre più spalancato. Non era riuscito a guardarci dentro, forse anche perché non aveva le parole per dirlo. E forse perché era attorniato da amici non veri. Non basta condividere la playstation. L’amicizia non è condividere spazio e tempo ma un’interiorità, quindi una trascendenza. Se non vi è reciproca e spontanea confessione, se non si crea una dimensione di intimità, non vi è vera amicizia. C’è solo la falsa condivisione di narcisismi, solo relazioni superficiali nelle quali ognuno, come il nostro Riccardo, in realtà rimane solo. Anzi, si sente più solo che mai – lui stesso lo ha detto -, perché sperimenta l’ipocrisia, la vacuità di quei surrogati di rapporti.

Che Dio illumini la coscienza e il cuore del nostro ragazzo. Il suo dolore sarà immenso, ma sarà necessario. Il dolore del pentimento, nel quale il ragazzo sarà solo, nella propria coscienza, davanti al male compiuto. Davanti al giudizio di Dio: quindi, non sarà davvero solo, non lo sarà mai se cercherà questa vera compagnia.

LA SPERANZA DI JACQUES

Jacques Fesch (foto qui sopra) è un giovane francese benestante, sposato e padre di una bambina. E ateo. Nel 1954, a 24 anni, mentre tenta una rapina in un negozio di cambiavalute a Parigi, ferisce due persone e ne uccide una terza, un poliziotto. In carcere scriverà: «Alla fine di un anno di detenzione, mi ha percosso un intenso dolore dell’anima che mi ha fatto molto soffrire; bruscamente in poche ore, ho posseduto la fede, una certezza assoluta. Ho creduto e non capivo più come facevo prima a non credere. Gesù mi ha visitato e una grande gioia si è impossessata di me, soprattutto una grande pace. Tutto è diventato luce in pochi istanti. Era una gioia fortissima». Jacques verrà giustiziato (ghigliottinato) nel ’57. Nel ’93 è stata avviata la causa di beatificazione. Cosa ci insegna la sua storia? Che Dio è l’Aperto, l’Imprevedibile. Che a Lui tutto è possibile. E che speranza ci dona? Che anche per il nostro Riccardo, tutto diventi luce. Solo Dio può farlo.

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