L’Intelligenza artificiale, pur portando benefici in diversi ambiti, solleva questioni etiche e antropologiche fondamentali riguardo la soggettività e la responsabilità. Per questo, è sempre più necessario difendere l’unicità dell’umano 

(Questo contributo è il terzo e ultimo sul tema delle nuove sfide della bioetica. I primi due sono usciti lo scorso 22 settembre e lo scorso 20 ottobre)

di padre Augusto Chendi

Ormai gli sviluppi della tecnologia sono così vari e complessi che non possiamo usare questa espressione senza aggiungere qualche aggettivo. Dobbiamo parlare, ad esempio, di tecnologie «convergenti» per indicare la stretta connessione che si è venuta a determinare tra meccanica ed elettronica attraverso la biochimica, la biologia molecolare, la fisiologia, la genetica, le neuroscienze, ma anche la linguistica, la filosofia, la psicologia cognitiva e comportamentale: una pluralità di conoscenze diverse, ma convergenti nel progettare, attraverso le nanoscienze e la bioingegneria, meccanismi con sempre più ampi margini di automazione. 

Questo «paradigma della confluenza» produce robot, bot, androidi, interfacce neurali, dispositivi mobili indossabili, la realtà virtuale nelle varie forme dell’interrealtà (mixed reality) o del “metamedium” (phygital). Tecnologie convergenti, ma sempre più spesso tecnologie «trasformative», perché potrebbero determinare o tendono a determinare o determinano modificazioni, più o meno significative, di sensazioni, emozioni, atteggiamenti se non della stessa identità umana. 

La tecnica trasformativa, dunque, non si limita a produrre artefatti che ci assistono nelle nostre attività, ma ci offre la possibilità di nuovi effetti, allargando gli orizzonti della conoscenza.

BIOETICA, CIBERNETICA E INTELLIGENZA ARTIFICIALE 

Un ulteriore sviluppo apportato alla ricerca bioetica, di fatto, è stato ingenerato tra la fine del Vecchio Millennio e l’inizio del Nuovo, quando le questioni classiche della vita umana sembravano aver perso mordente, surclassati dall’era innovativa della biomedicina, delle nanotecnologie, dell’identità digitale, del cyborg

Acconsentendo ad una maggiore attenzione alla identità dell’humanum nonché alla responsabilità sociale, in tempi più recenti la bioetica viene così investita dalla ricerca in ordine alla robotica e, in modi più specifico, all’Intelligenza artificiale. I problemi che si affacciano per la bioetica anche in questo caso – mentre afferiscono direttamente ad un ambito più squisitamente  economico-finanziari in ordine alle figure professionali del mondo della produzione che potrebbero essere sostituiti o “soppiantati” dall’ingresso massiccio di queste strumentazioni altamente specializzate (e quindi il valore del lavoro che è insito alla dignità della persona) – investono con maggiore radicalità  la questione circa il proprium dell’humanum che non può essere sostituito in toto da una macchia, seppur più sofisticata e capace, ormai in molti casi, di replicare i sentimenti, le reazioni e le scelte stesse della ratio e della coscienza della persona.

L’Intelligenza artificiale supporta già gran parte delle nostre attività quotidiane e ci aiuta a prendere decisioni più informate. Uno dei punti di forza dell’Intelligenza artificiale, infatti, è la capacità di derivare conoscenza utile da grandi quantità di dati, di cui siamo circondati e che generiamo in tutte le nostre attività online. Questo le permette di portare grandi benefici in termini di progresso scientifico, valore economico, e la soluzione di grandi problemi sanitari, sociali, e ambientali.

Questa tecnologia, tuttavia, genera alcune domande e preoccupazioni, che riguardano, ad esempio, l’uso dei dati personali, la difficoltà di spiegare come decide le sue azioni, e il possibile effetto discriminatorio delle sue decisioni… Questi ed altri temi sono al centro del dibattito internazionale sull’etica dell’Intelligenza artificiale. Infatti, gli scenari aperti dal progresso tecnologico nell’ambito dell’Intelligenza artificiale e dall’impatto che esso avrà sulla società sollevano questioni etiche e antropologiche con le quali la riflessione filosofica e teologica e la stessa Dottrina sociale della Chiesa sono chiamate a misurarsi. Fra queste, le più urgenti e fondamentali possono essere così espresse e sintetizzate: le macchine intelligenti acquisteranno anche la capacità di distinguere il bene dal male? Dovremo quindi considerarle soggetti con una propria responsabilità? O la responsabilità morale resterà una caratteristica peculiare dell’essere umano? 

Queste domande inderogabili ci inducono a riflettere su quanto sia ormai difficile distinguere la tecnica dalla scienza, perché la scienza moderna scopre il mondo trasformandolo. Si è, infatti, coniato il termine “tecnoscienza”: una scienza che si sviluppa dalla tecnica e con la tecnica, per creare nuove tecniche che daranno altri impulsi scientifici a ulteriori tecnologie in un processo circolare e tendenzialmente infinito. Si assiste così al fenomeno dell’auto-accrescimento, dovuto al fatto che tutto funziona per combinazione di migliaia di piccole scoperte che perfezionano l’insieme. Derivazione diretta di questo è il fatto – inconfutabile –  che nessun tecnico domina più l’insieme, ovvero quella forza cieca più chiaroveggente della più grande intelligenza umana. 

Non abbiamo più dubbi sul fatto che esistano non solo tante piccole scoperte che perfezionano l’insieme, ma che l’insieme determini altre tecniche che spingono alla prefigurazione di un “insieme” sempre più complesso. Ci troviamo di fronte a due effetti assolutamente nuovi nella storia dell’evoluzione e della cultura. Abbiamo macchine che interagiscono autonomamente con altre macchine e abbiamo il prodotto della loro interazione, a volte prevedibile e a volte inatteso, a cui ci dobbiamo adattare. Non solo le macchine tendono a sviluppare un mondo a parte, a cui diamo il nome di “Intelligenza artificiale” e di “infosfera”, ma questo mondo tende a interferire con i nostri corpi, con le nostre menti e con la nostra esistenza.

BIOETICA E FONDAMENTO DELL’HUMANUM 

Non deve sorprendere che le conquiste anche più avanzate dei quella che abbiamo definito “tecnoscienza”, come della medicina o di qualsiasi altra scienza applicata, debbano sempre e comunque essere ricondotte a quelle domande di fondo, improrogabili e insopprimibili circa lo status ontologico, ovvero l’essenza ultima dell’humanum, alle quali necessariamente si deve dare una risposta. Infatti, anche in questo caso specifico, la questione aperta dell’Intelligenza artificiale è riconducibile nell’alternativa tra bìos e téchne, tra vita e tecnica, ovvero a quel binomio sul quale si è costruita e si confronta ancora al presente la bioetica classica, che fino ad un recente passato abbiamo conosciuto e che ancora costituisce il fulcro delle valutazioni sul nostro vivere.

Per questo motivo, le macchine non devono acquisire potere decisionale, soprattutto quando si tratta della vita umana: devono essere poste al servizio dell’autodeterminazione umana e non restringerla, per assicurare sempre l’ultima istanza della responsabilità umana. Per sfruttare appieno le opportunità dell’Intelligenza artificiale occorre, pertanto, collocarla entro i limiti – etici e giuridici – di un nuovo umanesimo tecnologico.

Come dato ormai acquisito, quello dell’Intelligenza artificiale è, senz’altro, un tema cruciale della nostra epoca, ma è essenziale definire i limiti etici dello sviluppo della tecnologia attraverso la condivisione di approcci che, affermando la centralità dell’uomo, il valore proprio dell’humanum e la dignità della persona, contribuiscano all’attuazione piena dei principi fondativi della civiltà.

La salvaguardia e la promozione costante e per tutti della dignità della persona umana, e cioè dello statuto ontologico della sua inviolabile ed unica identità, costituiranno il parametro di confronto per rendere ragione di una bioetica che necessariamente vive dell’humanum, e nella sua storia contingente sempre deve essere aperta a confrontarsi con scenari, anche inediti, che inevitabilmente la interrogano e la stimolano. La complessità, in particolare, si pone dunque quale tessuto connettivo comune, anello di congiunzione, capace di proporre e produrre un collegamento tra le specifiche questioni attinenti alle diverse dimensioni della bioetica, riconducendo il particolare al tutto, secondo una chiave di lettura che conservi la visione dell’insieme. 

Al di là degli imprevisti tecnologici per effetto di una super-Intelligenza artificiale, di una vita 4.0, del trans-umano o dei cyborg, avvertiamo quindi l’onere di tenere viva la coscienza davanti alla radicale e ineludibile questione culturale o – meglio – ontologica circa la possibilità che la tecnica sostituisca l’originalità che attiene solo alla persona umana e al suo imperscrutabile e inderivato “mistero”.

Dopo decenni in cui il dibattito bioetico si era concentrato su un nucleo centrale di tematiche caratterizzate dai principi di autonomia e di libertà di scelta della persona, o della coppia, quindi con un’impronta fortemente individualizzata – specialmente per le decisioni su riproduzione, salute e governo del fine vita -, oggi, con l’emersione impattante delle criticità dell’antropocene, ovvero dell’influsso decisivo che l’homo sapiens ha sull’equilibrio del pianeta, e l’inaugurazione dell’epoca della transizione ecologica, si è tornati – come era stato all’origine del vocabolo – a muoversi su un orizzonte molto più vasto: dal singolo alla collettività, dall’umano a tutti gli esseri viventi, dall’ecosistema isolato all’intero pianeta Terra, con l’imporsi dell’estensione della sfera della bioetica alla comunità dei viventi.

Pubblicato sulla “Voce” del 1° dicembre 2023

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