Si intitola Seven psalms (“Sette salmi”) l’ultimo, inatteso, album del cantautore: una meditazione sull’essenziale della vita
di Giorgio Maghini
Seven psalms, ovvero “Sette salmi”, è il titolo dell’album che Paul Simon ha pubblicato il 19 maggio scorso.
Chiedendo agli adolescenti se sanno chi sia Paul Simon, si ottiene sempre risposta negativa (ho fatto qualche prova) ma, se si dice loro che si tratta dell’autore di The sound of silence, ecco che il loro sguardo si illumina, perché quel pezzo di ormai quasi sessant’anni fa ha avuto innumerevoli versioni in ogni stile: dalla banda, ai gruppi a cappella, all’alternative metal… ed è stato suonato praticamente in ogni talent show che sia mai andato in onda.
Paul Simon è uno di quei musicisti che è entrato non solo nella storia della musica ma – potenza dell’arte – nella storia delle nostre vite. Anche chi fosse totalmente disinteressato alla musica leggera ha sentito certamente almeno una volta l’arpeggio iniziale di The boxer, la polifonia della chitarra in Feelin’ groovy o – come dimostrato dal sondaggio tra gli adolescenti – la vellutata introduzione di The sound of silence.
Il disco di Paul Simon è una sorpresa.
Perché del tutto inaspettato ma – soprattutto! – perché Seven psalms affronta temi grandi e sostanzialmente rimossi: la domanda su ciò che è eterno e ciò che non lo è, quale sia il segno che lasciamo dopo il nostro breve passaggio su questa terra, se tutto ciò che ci circonda sia dovuto al caso o a un Dio creatore.
Tematiche, evidentemente, che il dibattito globale ha rimosso e che perciò hanno stupito non poco i critici musicali di tutto il mondo, che si sono dilungati a discutere se Paul Simon abbia davvero scoperto la fede, se il Dio di cui parla sia il Dio della religione o coincida con il mondo stesso, chi l’abbia vinta tra dubbio e ricerca…
Una fatica, quella dei critici, davvero mal spesa. La cosa che conta non è incasellare (o non incasellare) Paul Simon in una religione anziché in un’altra, ma piuttosto accettare la sfida dell’artista, e tornare a riflettere sul senso della vita, sulle cose ultime.
Perché questa è la vocazione dell’artista: ricordare all’umanità di cosa davvero vale la pena parlare e – contemporaneamente – donare parole nuove (è questo il vero senso della spesso fraintesa “creatività”!) per parlarne.
Parlando di un’opera d’arte, “momento di grazia” è un’espressione un po’ abusata, ma in questo caso non riesco a trovarne di più adatte.
Com’è noto, i “momenti di grazia” danno vita alle leggende, e Seven psalms non fa eccezione: in un’intervista, Paul Simon racconta di avere avuto un sogno, il 15 gennaio 2019, in cui una voce gli diceva: «Scriverai un album con sette salmi».
Nell’intervista, Simon confida che, all’epoca, nemmeno sapeva cosa fosse un salmo ma – da buon americano pragmatico – il mattino dopo il sogno si è messo a studiare e il frutto della sua fatica – quasi tre anni e mezzo dopo – prendeva la forma di questo disco.
Il disco permette a chi già amava questo autore di ritrovare la sua voce sussurrata e un tocco della chitarra che il tempo ha affinato e reso delicatissimo. Le sette canzoni – i “sette salmi” del titolo – sono collegate in unico brano di circa mezz’ora che va ascoltato senza interruzioni, come fosse musica da camera. Le sonorità sono quelle familiari al musicista – dal folk al blues -ma il genere conta davvero poco, quando la musica è così coerente.
I contenuti sono essenziali (Paul Simon ha 81 anni, e l’essenzialità si addice all’ultima fase della vita): si inizia con una riflessione su Dio creatore, che poi darà forma responsoriale al brano (The Lord), per proseguire con uno sguardo all’intreccio di amore e dolore che compone la vita (Love Is Like a Braid), una divertente polemica sullo scetticismo (My Professional Opinion), il tema del perdono (Your Forgiveness), le scelte fatte nella vita (Trail of Volcanoes), gli incontri (The Sacred Harp), la morte che ci attende (Wait).
Il disco ci chiede di trasformare un ascolto così bello in meditazione personale, e si chiude con una sola, semplice, parola: Amen.
Articolo pubblicato su “La Voce” del 16 giugno 2023
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