La Giornata per la Vita in programma il 4 e 5 febbraio a Ferrara. La prima sera a S.Stefano meditazione in musica con mons. Marco Frisina e il Coro di Cernusco. Per ripartire dalla persona e dalla difesa della sua dignità, sempre

di Chiara Mantovani

Quarantacinque anni di Giornate per la Vita, e sembra ieri. Non solo perché il tempo scorre veloce, ma soprattutto perché sembra di ripetere sempre cose già dette. Poi si pensa alla pazienza di Dio, che non sa più come rassicurarci del suo smisurato Amore per ogni sua creatura, e perciò si inizia un’altra Giornata. 

Il Messaggio dei vescovi italiani quest’anno è particolarmente accorato e ripercorre un itinerario logico e storico che ci è familiare. Andando a scorrere i temi affrontati nei vari Convegni del SAV, ritroviamo la stessa convinzione: senza sapere, né riconoscere – e quindi annunciare e difendere – la bellezza della vita umana nel suo intero percorso, dall’inizio alla tappa intermedia della morte corporale, nessun argomento reggerà al confronto con la disperazione e la difficoltà. A maggior ragione in un sistema di pensiero – che i colti chiamano postmodernità e i semplici “al giorno d’oggi” – che pretende di espungere dal vissuto ogni fallimento, ogni imperfezione, ogni dolore. Si dice che tutti i tempi di decadenza abbiano patito il cupio dissolvi, quella fascinazione per il disfacimento, l’annichilimento, che san Giovanni Paolo II ha chiamato «cultura di morte». È il terribile inganno che, disprezzando la vita in quanto abitata anche da sofferenza, ama la morte e la offre come soluzione.

Il dramma non sta nel fatto che chi soffre, per i mille motivi che la vita pur presenta, possa pensare di rimediare sparendo dal mondo. Persino Giobbe, calpestato negli affetti, nell’economia e nella salute, si lamenta con Dio e osa chiedergli perché mai lo tratti così; ma proprio di fronte a chi gli consiglia di arrendersi e di maledirlo, capisce che la sua vita ha senso perché è amata. Il vero dramma è che la morte sia diventata nella percezione del mondo, di noi, delle nostre famiglie, persino delle nostre comunità cristiane, un’opzione percorribile, addirittura un rimedio.

Non è uno scandalo sentirsi soli, abbandonati, senza via d’uscita, disperati: lo scandalo è quando facciamo eco ai timori della nostra amica incinta e le diciamo che la sua situazione è davvero insostenibile e un figlio le rovinerà la vita. È quando diventiamo gli amici di Giobbe, e gli diciamo che ha ragione, che è uno schifo, che è meglio mollare e – invece di scoperchiare il tetto per portare il nostro amico a Gesù – lo accompagniamo in Svizzera a “morire bene”, dalla “bella morte”. Come se mai la morte potesse essere bella o buona, lei che è entrata nel mondo per l’invidia del diavolo. 

Se dopo quarantacinque anni di ragioni ragionate, di parole affascinanti, di riflessioni profonde dobbiamo ancora celebrare una Giornata per la Vita, che cosa possiamo fare, dal momento che aborto e eutanasia, egoismi e guerre si moltiplicano anziché calare? Proviamo a ripartire dal bello della “Persona umana, vertice insuperabile della Creazione”, soggetto dell’Amore del Padre, destinataria di bellezza e salvezza per sempre. Lo faremo con l’armonia del canto e della musica, con alcuni pensieri di mons. Marco Frisina e la dolcezza del Coro della Parrocchia di Santa Maria Assunta di Cernusco sul Naviglio.

Sia la Madre di Dio e della Chiesa a condurci per mano e a dissolvere la nebbia della disperazione travestita da efficientismo.

Articolo pubblicato su “La Voce” del 27 gennaio 2023

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