Ferrara, Betlem, 27 luglio 2019
S. E. Mons. Gian Carlo Perego
Arcivescovo di Ferrara-Comacchio
Un cordiale saluto a tutti voi, cari fratelli e sorelle, e tra voi, in particolare, a don Rino e don Gian Carlo che celebrano i 60 anni del loro sacerdozio ministeriale. E’ bello celebrare insieme questo importante anniversario di vita presbiterale, con i familiari e i fedeli, con gli ospiti e gli operatori del Betlem, l’amico don Carlo, per ringraziare il Signore, ma anche per affidargli i nostri cari presbiteri don Rino e don Gian Carlo. Ci mettiamo in ascolto della Parola di Dio di questa Domenica. Nella pagina del libro della Genesi Dio visita due città, Sodoma e Gomorra, dove “il peccato è molto grande”. Per questa visita Dio dialoga con Abramo, che cerca di dissuadere Dio dal distruggere la città che si era allontanata dalla legge del Signore. E’ bella questa preghiera per la città di Abramo, che cerca di sottolineare non solo il male, ma anche il bene che può continuare ad essere presente nelle città di Sodoma e Gomorra. La preghiera di Abramo, insistente, dimostra l’amicizia di Abramo con Dio, che lo rende anche amico degli uomini, creature di Dio. Papa Francesco, nell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate, ci ricorda che “La preghiera è preziosa se alimenta una donazione quotidiana d’amore” (G.E. 104). La preghiera di Abramo per “le città della pianura” è anche la nostra preghiera oggi, guardando alle nostre città, dove spesso si ritrova e condanna facilmente il male e non si sottolinea il bene: si fa la cronaca dei furti e non di chi dona, di un meraviglioso mondo del volontariato; si fa la critica di chi violenta e uccide e non della vita che nasce, che è curata. E’ vero, le nostre città rischiano di essere sempre più chiuse, incapaci di accogliere, ma esistono anche esperienze nuove di condivisione, di vita familiare aperta al dono, alla cura, all’affido, storie di vocazione e di una vita donata per gli altri, come quelle di don Rino e di don Gian Carlo, che provocano le nostre città. Non dimentichiamo che – come ci ha ricordato il Card. Martini – il brano della Genesi che abbiamo ascoltato “collega la preghiera per Sodoma, che dice quanto vada amata una città che appare perduta, con la capacità di ospitare stranieri, nei quali si ospita poi Dio stesso”. La preghiera a Dio serve a cambiare noi, le nostre relazioni con Dio e con il prossimo, e non Dio, che rimane sempre un Padre, ricco di misericordia. Il prete è chiamato nelle nostre parrocchie ad alimentare nei fedeli l’esperienza della presenza di Dio nei nostri fratelli e nelle nostre sorelle, nell’altro, per non rinchiudersi in se stessi e rischiare di usare più che proteggere e custodire l’altro. Don Rino e don Gian Carlo, nei lunghi anni di ministero nelle nostre parrocchie hanno accompagnato i fedeli a questa relazione con Dio e con il prossimo, nella Liturgia, nella catechesi e nella carità. Anche il Vangelo ha al centro la preghiera, quella che Gesù insegna ai discepoli e che continua ad essere la nostra preghiera più familiare: il Padre nostro. Non solo Gesù insegna una preghiera, ma nella parabola, insegna l’insistenza, la ripetitività della preghiera. Se la preghiera del Padre nostro dice la nostra relazione familiare con Dio, l’insistenza dice la necessità di una preghiera che diventi quotidiana e non occasionale, continua e non saltuaria. Ed è questa la nostra fatica. La concentrazione sulle cose che facciamo, sulle problematiche di ogni giorno, i nostri progetti, l’affannarsi alla ricerca di qualcosa di meglio rischia talora di farci perdere il carattere quotidiano, ripetitivo della preghiera, in altre parole il carattere familiare della preghiera e della nostra relazione con Dio. Il prete è servo di questa relazione familiare con Dio: per affidargli le persone, per chiedere un aiuto, per ringraziarlo dei doni di ogni giorno, per accompagnare le gioie e le sofferenze delle persone: per recuperare, in altre parole, il senso e il valore della presenza familiare di Dio nella vita dei fedeli, come insegnano le parole del Padre nostro che oggi abbiamo riascoltato e che ogni presbitero, in ogni Eucaristia, invita i fedeli a recitare come segno di comunione. Il presbitero aiuta anche i fedeli a far uscire la preghiera dall’emozionalità in cui cade troppe volte, per farla approdare all’oggettività della preghiera liturgica, di cui il Padre nostro è un aspetto importante e comunitario. La preghiera del Padre nostro, per usare le parole dell’apostolo Paolo, è la preghiera del battezzato, del risorto con Cristo, che Dio ha mandato nel mondo per perdonare il nostro peccato “inchiodandolo sulla croce”. Cari fratelli e sorelle, chiediamo anche noi oggi al Signore, come i discepoli, “insegnaci a pregare”, perché la nostra relazione con Dio Padre abbia i caratteri della familiarità, ma anche della continuità. Ringraziamo il Signore per il dono dei nostri preti, oggi soprattutto per don Rino e per don Gian Carlo che celebrano i 60 anni dalla loro ordinazione presbiterale, che ci hanno accompagnato ed educato alla preghiera, segno di una relazione quotidiana e familiare con Dio, conservando quella dignità filiale di fronte a Lui.